Il regime di Nuri al Maliki, il presidente iracheno che nasconde sempre meno le sue tendenze dittatoriali, ha preso di mira la stampa. Con una ordinanza del 23 giugno la polizia ha deciso la chiusura di 44 agenzie di stampa locali e internazionali.
Secondo il documento ufficiale ottenuto dal Jfo (Osservatorio per la libertà di stampa) le forze di sicurezza hanno ricevuto l’ordine dalle autorità di chiudere gli uffici di 44 organi di informazione. Tra questi importanti canali televisivi e radio come as Sharqiya e Baghdadya (tv satellitari) e media stranieri come la Bbc, radio Sawa e Voice of America.
La decisione è stata presa nel momento in cui ferveva il dibattito tra l’amministrazione del primo ministro Maliki e l’opposizione politica sulle minacce ai giornalisti che hanno seguito la crisi politica in corso. Il 20 giugno, i sostenitori di Muqtada al Sadr avevano manifestato nella piazza Firdaus di Baghdad contro la restrizione della libertà di stampa e per chiedere il sostegno alla mozione di sfiducia contro al Maliki presentata in Parlamento.
Il procedimento di chiusura è partito dalla Communications and Media Commission che ha stilato una lista di regole che ha iniziato ad applicare prima delle ultime elezioni e che mira a restringere la libertà di informazione in contrasto con la costituzione che invece la garantisce. Si tratta di regole poco chiare e poco conosciute che permettono di controllare gli organi di stampa e di chiuderli se non sono asserviti al potere.
Questa stretta sulla stampa tuttavia è solo uno dei terreni su cui il premier sta imponendo il suo potere riservato a persone fidate, quasi esclusivamente appartenenti al suo stretto giro, al suo partito e alla sua confessione sciita. Questo è avvenuto anche nell’esercito, dove i generali nominati da Maliki, che è anche Comandante in capo delle forze armate, oltre che a ministro della difesa e degli interni e responsabile dei servizi segreti, sono quasi tutti sciiti. E soprattutto non sono passati all’avallo del parlamento.
Lo scontento dovrebbe confluire nella mozione di sfiducia appoggiata da al Iraqyya (in maggioranza sunniti) e da una parte dei Kurdi oltre che, come abbiamo detto, da Muqtada al Sadr (sciita radicale). A difendere al Maliki c’è però il presidente Jalal Talabani (kurdo) che evidentemente teme che saltando il governo (erano occorsi mesi per formarlo) si rimetta in discussione tutta l’amministrazione. Ma i fragili equilibri sono già saltati con l’uscita dal governo di al Iraqyya.