Due settimane fa visitando l’ospedale di Emergency a Kabul l’avevamo trovato meno affollato del solito. “Tra poco, non appena inizierà l’offensiva di primavera, si riempirà” ci avevano detto. E in effetti oggi (15 aprile) proprio all’ospedale di Emergency, il più attrezzato della capitale, sono state portate le prime vittime dell’attacco avvenuto alle 14 (ora locale).
In inverno, a causa delle proibitive condizioni atmosferiche, i combattimenti si riducono, ma con l’arrivo della primavera gli attacchi riprendono. Sebbene l’attacco di oggi non sia giunto del tutto imprevisto, le dimensioni sono state impressionanti. E ad essere investita è stata proprio quella zona bunkerizzata dove si trovano i palazzi del potere, che dovrebbe essere la più protetta. Un vero e proprio assalto al cuore della capitale con attacchi coordinati contro il parlamento, le ambasciate (soprattutto quelle britannica e tedesca) e le forze della Nato. L’hotel Star appena costruito vicino alle ambasciate è stato dato alle fiamme. Numerose le vittime afghane (almeno 14 morti), civili e militari.
L’attacco coordinato, rivendicato dai taleban come “offensiva di primavera”, non ha riguardato solo Kabul ma anche Jalalabad (preso di mira l’aeroporto), la regione di Paktia nel sud e Kunduz nel nord, Logar e Nangarhar. Era dallo scorso settembre, quando era stato attaccato il comando Nato e l’ambasciata americana, che non si verificavano offensive di questa portata. A realizzare gli attacchi sono stati kamikaze, che nel nord erano travestiti da donne con il burka.
Ma se un’offensiva di primavera era nell’aria come è possibile che tanti attentatori superarmati abbiano potuto avvicinarsi a obiettivi così importanti e teoricamente protetti? Kabul non è più controllata da forze straniere – anche se ieri si sono visti in azioni carri ed elicotteri della Nato – ma gli afghani – o almeno l’intelligence – dovrebbero essere informati sui movimenti dei taleban. A meno che vi siano connivenze tali da trasformare i servizi di sicurezza in colabrodo.
Occorre anche aggiungere che fino all’interruzione delle trattative tra taleban e americani, a causa dei Corani trovati bruciati a Bagram e la stage di Kandahar, tutto lasciava prevedere un accordo da sancire prima del ritiro parziale degli americani nel 2014 (anche se resteranno i militari nelle basi). Anche il presidente Karzai puntava sulla stessa ipotesi tanto da avallare editti degli Ulema, che ricalcavano i diktat dei taleban, per favorire la loro mediazione nei confronti degli ex studenti di teologia.
Mancanza di vigilanza o connivenza? In entrambi i casi la situazione si fa sempre più inquietante a oltre dieci anni dall’inizio della guerra in Afghanistan. Partiranno gli americani e torneranno al potere i taleban? Oggi i parlamentari hanno preso le armi e hanno partecipato agli scontri “per salvare il paese”, questo vuol dire che i signori della guerra sono pronti a difendere il loro potere con le armi? Quello di oggi è un avvertimento importante e preoccupante.