Mistero afghano

I dubbi sulla morte di due cooperanti italiani a Kabul

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20 Ottobre 2010 - 11.52


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con Carlo Lania

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Nel 2006 due cooperanti italiani vennero trovati morti a Kabul. Uno dei due aveva scoperto un traffico di fatture false tra agenzie dell”Onu, ma l”inchiesta della procura di Roma non è mai approdata a nulla. E ora si rischia l”archiviazione
Sono passati quattro anni da quando Stefano Siringo e Iendi Iannelli sono stati trovati senza vita a Kabul, ma tutto questo tempo non è bastato per stabilire con certezza perché i due giovani cooperanti, di 32 e 26 anni, sono morti. Al punto che, stando a una ricostruzione di quanto accaduto fatta dalla famiglia di Siringo, perfino la data del decesso riportata sul certificato di morte sarebbe sbagliata. «Come giorno della morte si indica il 16 febbraio del 2006, ma noi siamo in grado di dimostrare che Stefano e Iendi sono stati uccisi il giorno prima, tra le 20,15 e le 21,33 del 15 febbraio» spiega Barbara, la sorella di Stefano che insieme al padre Giuseppe chiede da tempo giustizia per il fratello.
«Uccisi» sì, perché Barbara – come spiega in una memoria preparata insieme al legale della famiglia – è convinta che i due ragazzi siano morti dopo che Iannelli, impiegato come responsabile della logistica presso l”Idlo (International Devolopment law organization) avrebbe scoperto un presunto traffico di false fatturazioni tra agenzie Onu operanti in Afghanistan. Uno scenario molto differente da quello ufficiale, che invece vuole Stefano e Iendi morti per overdose dopo aver assunto eroina pura all”89%. Una ricostruzione che appare ancora più assurda se si considera che non si sta parlando di due tossicodipendenti, visto che né Stefano né Iendi avevano mai fatto uso di sostanze stupefacenti. Ma c”è di più, come spiega l”avvocato Luciano Tonietti, legale della famiglia Siringo: «Fino a oggi la procura ha iscritto e perseguito un reato, morte come conseguenza di altro delitto, che dall”esito delle perizie tossicologiche avrebbe dovuto cedere il posto, in ragione della purezza dell”eroina, a uno degli altri due reati logicamente idonei a giustificare la prosecuzione delle indagini, ovvero l”omicidio volontario o preterintenzionale».
Due morti archiviate?
Di certo sono numerosi gli aspetti pochi chiari che ancora circondano la morte dei due giovani romani. E che rischiano di restare tali visto che oggi il pubblico ministero di Roma Luca Palamara chiederà al gip Rosalba Liso l”archiviazione delle indagini.
I corpi di Stefano e Iendi vennero ritrovato la mattina del 16 febbraio 2006 nella stanza che Iannelli aveva in dotazione presso la guesthouse dell”Idlo a Kabul. Pur essendosi conosciuti da poco tempo i due erano molto amici, al punto che capitava spesso che Siringo, in Afghanistan per conto del ministero degli Esteri, passasse la notte nella guesthouse. A ritrovarli furono alcuni colleghi dello stesso Iannelli, preoccupati per la sua assenza al lavoro. La scena che si presenta agli occhi dei soccorritori è a dir poco strana, al punto da sembrare costruita ad arte. Dopo aver abbattuto la porta della stanza con una sedia, trovano infatti i corpi di Stefano e Iendi distesi in maniera ordinata sul letto. I due cadaveri, entrambi vestiti, si trovano in una posizione quasi innaturale, con le teste poggiate a poca distanza l”una dall”altra, una gamba di Iannelli che scende fino a toccare il pavimento e quella destra di Siringo piegata verso il centro del letto. Intorno gli oggetti di tutti i giorni, come i cellulari di servizio, i computer, due pacchetti di sigarette. Su un tavolinetto anche un narghilè, mentre tracce di eroina vengono ritrovate sparse per la stanza.
Il monossido a corrente
La prima ipotesi avanzata – e sostenuta inizialmente anche dall”ambasciatore italiano a Kabul Ettore Sequi – è quella che i due giovani possano essere morti in seguito alle esalazioni di monossido di carbonio provenienti da una stufetta a gas difettosa. Ipotesi però immediatamente smentita visto che la stufetta è elettrica, come conferma l”altro ambasciatore, Iolanda Brunetti, responsabile del progetto giustizia in Afghanistan per il quale lavorava anche Stefano. L”autopsia sui corpi, eseguita a Roma, accerta che il decesso è dovuto «a intossicazione acuta esogena da oppiacei». In pratica a overdose. Una successiva consulenza chiesta dal pm stabilisce che la sostanza iniettata era eroina con un grado di purezza altissimo, pari appunto all”89%.
La questione sembrerebbe chiusa, ma non è così. Sono troppe infatti le cose che non quadrano nelle ultime ore di Stefano e Iendi. A partire dalla possibile ora della morte. Ufficialmente il decesso sarebbe avvenuto la mattina del 16 febbraio, giorno in cui sono stati ritrovati i corpi, ma i fatti potrebbero essere andati in maniera diversa. «Basta controllare i cellulari per arrivare a una verità diversa», spiega Barbara Siringo. «L”ultima chiamata alla quale Stefano ha risposto è alle 19,29 del 15 febbraio 2006 e la prima alla quale non ha più risposto è delle 21,33. E” chiaro che in questo arco di tempo è accaduto qualcosa». A restringere ulteriormente i tempi c”è poi la testimonianza di un altro dipendente dell”Idlo che afferma di aver parlato con Iendi alle 20,15 del 15 febbraio.
C”è poi la questione dell”eroina. Come già detto, né Stefano né Iendi erano tossicodipendenti, l”autopsia eseguita sui cadaveri ha portato alla scoperta di soli due buchi, provocati da una siringa, sull”inguine di ciascuno dei due ragazzi e dai quali è stata probabilmente iniettata la sostanza.
Eroina troppo pura
Se la versione che vuole Siringo e Iannelli morti in seguito a un”overdose fosse vera, lo scenario che si verrebbe a creare sarebbe a dir poco inusuale. I due cooperanti – come ricorda l”avvocato Tonietti nell”atto di opposizione alla richiesta di archiviazione – avevano infatti fisici notevolmente differenti tra loro, e di conseguenza la loro reazione a un”iniezione di eroina così pura sarebbe stata differente. Siringo era esile, come si intuisce dalle fotografie, tutto l”opposto di Iannelli che invece era una ragazzone alto e forte, ex giocatore di rugby. Eroina a un livello di purezza come quello riscontrato nei due cooperanti uccide praticamente all”istante ed è difficile pensare che i due ragazzi, vista anche la differenza di corporatura, abbiano avuto il tempo di stendersi tranquillamente su letto come invece sono stati ritrovati. Ancora più difficile immaginare che uno dei due, una volta accortosi che l”amico stava male, abbia a sua volta assunto l”eroina.
Dubbi che quattro anni di inchieste non sono riusciti a sciogliere. Soprattutto non è stato possibile accertare se le cose scoperte da Iannelli siano reali o meno. In particolare le presunte doppie fatturazioni tra Idlo e l”Unops – l”organismo dell”Onu che si occupa dell”organizzazione logistica degli occidentali Kabul – per migliaia e migliaia di euro. Iannelli avrebbe scoperto queste presunte truffe proprio grazie al suo lavoro di contabile presso l”Idlo e, oltre che a Stefano, ne aveva parlato anche con altri colleghi di lavoro. Magistrati, funzionari, persone che hanno come compito quello di addestrare i giudici del futuro Afghanistan e quindi bene in grado di comprendere la gravità delle affermazioni di Iannelli. Un resoconto di questi racconti risulta nei verbali raccolti dai carabinieri durante gli interrogatori svolti a Roma. «Ribadisco che ho saputo da Edgardo Buscaglia (all”epoca responsabile del progetto Idlo a Kabul) che Iendi Iannelli pochi giorni prima del suo decesso gli aveva confidato l”esistenza di false fatturazioni tra Idlo e Unops e quindi un”anomalia nel bilancio senza specificare ulteriori dettagli», racconta ad esempio ai carabinieri del Nucleo investigativo di Roma Marcello Rossoni collega e amico di Iannelli. Per poi proseguire: «A seguito di un controllo di bilancio, eseguito unitamente con il successore di Iendi Iannelli, Rustam Ergashev, (Buscaglia) si accorse che risultavano doppie o false fatturazioni per un valore di circa 1,5 milioni di dollari». Le stesse cose le dice anche Samuel Gonzales, un magistrato messicano anche lui a Kabul nel 2006 impegnato nel progetto dell”Idlo. Gonzales fa di più. Il 18 febbraio del 2006 scrive al pm Palamara dichiarandosi disposto a venire in Italia per mettere a verbale quanto aveva saputo dallo stesso Iannelli circa i suoi sospetti su un presunto uso anomalo dei fondi Idlo. Iannelli, scrive Gonzales, «ci aveva riferito di credere che alcuni dei fondi italiani per i progetti in Afghanistan erano stati usati in altri progetti di Idlo in diversi Paesi. Proprio in questi giorni Iannelli stava cercando altre prove per confermare questa ipotesi». Gonzales non ha però mai ricevuto risposta dalla procura capitolina.
Immunità diplomatica
Un aiuto prezioso all”accertamento della verità potrebbe fornirlo l”Idlo, accettando di mostrare i bilanci alla magistratura. Fino a oggi, però, ogni richiesta in tal senso avanzata dalla procura di Roma è stata respinta dall”organizzazione, che prima si è detta disposta a presentare i bilanci poi, si è avvalsa dell”immunità diplomatica. A una richiesta di intervista da parte del manifesto, la risposta dell”ufficio stampa dell”organizzazione è stata netta: «Idlo non ha nessun commento da fare sulle vicenda oltre a confermare che ha risposto e continuerà a rispondere a ogni richiesta pertinente che provenga dalle autorità competenti». A novembre dell”anno scorso, dopo che alcuni articoli di stampa erano tornati a parlare della strana morte di Siringo e Iendi, da parte dell”Idlo c”è stata infatti una nuova disponibilità a fornire la documentazione richiesta al magistrato, a cui però ha fatto seguito un ripensamento. «Fino a data odierna», scrivono l”11 marzo scorso i carabinieri del Nucleo investigativo al pm Palamara, non è stata ricevuta alcuna comunicazione/documentazione né direttamente dall”Idlo, né per il tramite del Ministero Affari Esteri, nonostante le reiterate richieste effettuate per le vie brevi presso gli uffici preposti».’

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