I media hanno trattato con superficialità l’incontro sulla Siria che si è svolto a Roma tra i rappresentanti europei, il segretario di stato americano John Kerry e il rappresentante della Coalizione nazionale siriana Moaz Khatib. Dopo mesi in cui si parla poco o niente della guerra in Siria e dei massacri quotidiani – che essendo quotidiani non fanno più notizia – sembra normale avallare la decisione presa nella riunione che si è tenuta il 28 febbraio alla Farnesina. Poco importa se è per lo meno contraddittoria: mentre si afferma di voler trovare una via per il negoziato, si punta assolutamente su una soluzione militare. Secondo il rappresentante siriano serve per trattare da una posizione di forza. Trattare con chi se non con il regime di Assad? Khatib ha rifiutato un invito a Mosca che avrebbe potuto essere l’occasione per interloquire con il principale sponsor di Assad e verificarne le intenzioni, visto che da tempo si parla di una evoluzione della posizione russa. Invece sembra che nessuno sia interessato a trattare, tanto meno Bashar al Assad. E intanto aumenta il bilancio delle vittime: 70.000. Un “genocidio” di cui è responsabile il regime siriano, si dice nel comunicato della Farnesina, senza fare nessun accenno alle responsabilità dell’opposizione.
Si punta sulla soluzione militare anche se gli Usa hanno sconfitto la linea dura di Hillary Clinton e del generale Petraeus che chiedevano forniture di armi all’opposizione siriana. Kerry ha promesso 60 milioni di dollari in forniture “non letali”, il che non vuol dire solo aiuti “umanitari”, come tende ad accreditare la nostra stampa, ma giubbotti antiproiettili, addestramenti etc. Decisione che invece inquieta la stampa americana che teme un invischiamento degli Usa in un nuovo conflitto. Anche perché, come molti osservatori fanno notare, l’opposizione siriana è sempre più nelle mani di al Qaeda.
“Non guardate alle barbe dei combattenti”, suggerisce Khatib, non è questione di barba ma dell’ideologia che sta dietro i barbuti. Le armi in Siria non mancano. Non mancano al regime di Assad rifornito dalla Russia e dall’Iran e nemmeno agli oppositori dell’Esercito libero foraggiati da Arabia saudita e Qatar che recuperano le armi nei Balcani (Croazia) e nel Nord africa (Libia) per poi inviarle attraverso la Giordania. Nessuno pensa a sostenere le forse democratiche fautrici di una resistenza non violenta.
Fino a qualche tempo fa si scatenavano le guerre che provocano distruzioni per poter partecipare alla ricostruzione, ora si alimentano mostri che diffondono il jihadismo per poi avere il pretesto per intervenire militarmente contro il terrorismo, come ha fatto la Francia in Mali.
Il ministro degli esteri Giulio Terzi si dice soddisfatto dei risultati dell’incontro. Ma di che? Di aver portato l”Italia dentro il pantano siriano approfittando dell”assenza di un governo e anticipando l”arrivo di forze che proprio guerrafondaie non sono? Non tiene conto del caos provocato dai risultati elettorali? O proprio il caos lo ha favorito? Del resto i partiti, troppo preoccupati dei prossimi assetti istituzionali, non si sono preoccupati delle decisioni che si stavano prendendo. Anche se il Pd ha poi chiesto al governo: “In questa situazione di incertezza politica quali consultazioni ha svolto sulla guerra in Siria?” Probabilmente il parlamento – se si riuscirà a formare un governo – si accorgerà delle decisioni prese solo quando dovrà rifinanziare le missioni all”estero, ma allora, ancora una volta, sarà troppo tardi.
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