Mary Colvin del Sunday Times e il fotografo Remi Ochlik sono gli ultimi giornalisti vittime della guerra in Siria. Conoscevo Mary Colvin, giornalista americana residente da molti anni in Gran bretagna. L’avevo incontrata la prima volta a Baghdad nel 1990, alla vigilia della prima guerra del Golfo. L’ho sempre ritrovato in luoghi caldi, a seguire conflitti. Ci siamo reincontrate nell’aeroporto di Gibuti in attesa di un improbabile aereo che ci portasse a L’Asmara durante la guerra Etiopia-Eritrea.
Quando ci siamo incrociate a Kabul aveva già la benda nera che le copriva un occhio perso nel 2001 in Sri Lanka, dove era stata colpita da una scheggia di granata. Ma questo non le aveva impedito di continuare il suo lavoro – attraverso la Palestina, la Cecenia, etc. – e di arrivare fino a Homs, il luogo più martoriato della Siria, dove la casa in cui si trovava insieme al giovane fotografo francese Remi Ochlik è stata colpita dalle bombe. I giornalisti non hanno nessuna protezione, nessuno è interessato a proteggerli, meglio speculare sulle informazioni che avere testimoni.
Mary e Remi, e prima ancora Gilles Jacquier di France 2 e il giornalista americano di origine libanese Anthony Shadid: si allunga la lista dei giornalisti morti in Siria. L’informazione ha un prezzo troppo alto soprattutto nel momento in cui le testimonianze sono sottopagate.