Alla fine l”ha spuntata Nuri al Maliki. Dopo otto mesi di trattative e frenetiche attività diplomatiche che hanno coinvolto Iran, Stati uniti e i paesi confinanti, e che ha cambiato le alleanze nella regione, l”ex premier iracheno (nella foto ap) è riuscito a farsi riconfermare. Il suo incarico diventerà effettivo solo il 20 novembre, dopo la celebrazione della festa dell”Aid al Adha, che segna la fine del pellegrinaggio alla Mecca. Poi avrà un mese per formare il nuovo governo di Baghdad.
Intanto è stato finalmente raggiunto l”accordo per la spartizione, etnico-confessionale, dei massimi incarichi. La presenza di «al Iraqiya», una lista laica e interconfessionale, non è riuscita a sfuggire a questa logica: nonostante il suo leader, Iyad Allawi, sia sciita, viene considerata sunnita, essendo effettivamente i sunniti ad averle fornito il maggiore supporto elettorale. Tra gli eletti vi sono anche tre deputati esclusi dalla Commissione per la «debathizzazione», perché considerati vicini al partito Baath e che quindi non possono partecipare ai lavori del parlamento.
Proprio un decreto che eliminasse la loro esclusione era stata concordata da Iyad Allawi ed è stato il primo scoglio affrontato dal parlamento dopo l”elezione del suo presidente Osama al Nujaifi, sunnita, e dei due vice, uno del movimento di Muqtada al Sadr e l”altro kurdo. Dopo questa elezione, il primo intoppo, la mancata reintegrazione dei deputati accusati di saddamismo, ha portato tutti i deputati di «al Iraqiya» ad uscire dal parlamento quando è avvenuta l”elezione del capo dello Stato. Alla seconda votazione è stato confermato il kurdo Jalal Talabani. Il parlamento si riuniva per la seconda volta in otto mesi, la prima seduta era durata 17 minuti.
Questa schermaglia tuttavia non sembra compromettere l”accordo annunciato dal presidente del Kurdistan Barzani e raggiunto dopo le intense trattative degli ultimi giorni, prima a Erbil (in Kurdistan) e poi a Baghdad. Il problema principale era quello di convincere al Iraqiya, il partito che ha vinto di misura le elezioni del 7 marzo e rivendicava un ruolo maggiore, ad appoggiare un governo guidato da al Maliki. Aritmeticamente al Maliki (del partito religioso sciita Dawa), dopo essersi garantito l”appoggio dell”Alleanza nazionale irachena (gli altri partiti religiosi sciiti) e dell”Alleanza kurda, avrebbe potuto avere la maggioranza in parlamento anche senza al Iraqiya, ma in questo modo i sunniti sarebbero stati esclusi dalle istituzioni e questo avrebbe scatenato un nuovo scontro tra sunniti e sciiti.
Un timore vissuto soprattutto dagli Stati uniti che peraltro avevano pagato pesantemente l”esclusione dei sunniti dal potere nei primi anni del dopo-Saddam. Erano poi stati i sunniti, costituitisi nei «Consigli del risveglio», ad allearsi con il generale Petraeus eliminando al Qaeda dalle aree centrali del paese, ma proprio la mancata realizzazione dell”accordo che prevedeva l”inserimento dei 100.000 combattenti nell”esercito (al Maliki ne ha accettato solo 25.000) dopo l”eliminazione di al Qaeda, ha lasciato un «esercito» sunnita senza lavoro e ben armato. E se i sunniti fossero esclusi dalle istituzioni è facile immaginare quali potrebbero essere le conseguenze.
A convincere Iyad Allawi ad appoggiare il governo al Maliki sarebbe stata la costituzione di una commissione nazionale per le scelte strategiche a lui affidata. Un organismo di cui non si conoscono esattamente i compiti ma che dovrebbe essere, almeno nelle intenzioni degli americani e di Allawi, una sorta di strumento di controllo sull”operato del governo, con particolare attenzione alle questioni della sicurezza soprattutto in vista del ritiro degli americani, previsto per l”anno prossimo.
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Al Maliki alla prova del dopo-occupazione
Il leader sciita incaricato di formare il governo
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13 Novembre 2010 - 11.52
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