L’Algeria è giunta al settimo venerdì di protesta, il primo senza il presidente Bouteflika, che si è dimesso la sera del 2 aprile. Tutte le piazze, anche ieri, sono state invase da una marea umana che sventolava le bandiere algerine e quelle berbere, sono cambiati solo gli slogan.
Le dimissioni di Bouteflika non erano l’unico obiettivo dell’insurrezione che ieri chiedeva soprattutto la partenza delle «3 B», tre personaggi fedeli al regime, ovvero: Abdelkader Bensalah, presidente del Senato, che dovrebbe assumere l’interim della presidenza; Nourredine Bedoui, primo ministro di un «governo di transizione», noto per la repressione delle proteste quando era ministro dell’interno; e Tayeb Belaiz, presidente del Consiglio costituzionale.
Belaiz intanto ha informato delle dimissioni di Bouteflika le due camere che, riunite congiuntamente, dovranno designare il capo di stato che assumerà il potere per 90 giorni, fino a nuove elezioni. Questo secondo la Costituzione, del resto il governo e altre istituzioni continuano ad agire come in una situazione di normalità, mentre tutto il paese è in rivolta.
Ieri, è uscito di scena anche il generale Tartag, capo della Direzione dei servizi di sicurezza (Dss, ex-Drs), non si sa se dimessosi o destituito, e da chi?
C’è chi sostiene che aveva presentato le sue dimissioni a Bouteflika prima del suo ritiro. Altri che è stato uno degli ultimi atti di Bouteflika presidente. Tartag aveva sostituito nel 2015 il generale Mohamed Mediène e allora i servizi di sicurezza, con una riforma, erano passati sotto il controllo del presidente della Repubblica. Ora, secondo Algerie part, il Coordinamento dei servizi di sicurezza è stato sciolto e i servizi segreti tornati sotto il controllo del ministero della Difesa.
La rivolta continua, anche ieri ha dimostrato di non avere cedimenti, forte delle vittorie ottenute, ma non potrà durare a lungo senza darsi un’organizzazione in grado di governare la transizione, perché c’è chi la sta preparando «dichiarando la piena adesione alle rivendicazioni del popolo algerino» (come riporta l’organo ufficiale dell’esercito, el Djaich).
La protesta iniziata il 22 febbraio contro il quinto mandato di Bouteflika, vuole il cambiamento del sistema. Le dimissioni di Bouteflika sono state una vittoria dell’insurrezione e non tanto del capo di stato maggiore Gaid Salah, come alcuni tendono ad accreditare, anche se lo scontro con l’esercito ha sicuramente pesato. Il generale, già braccio destro del presidente e favorevole al quinto mandato, ha cambiato idea dopo il quinto venerdì di mobilitazione e ha chiesto l’applicazione dell’articolo 102 della costituzione, ovvero allontanamento del presidente per impedimento a svolgere le sue funzioni.
Ma al Movimento non basta l’articolo 102, rivendica anche l’applicazione dell’articolo 7 (la sovranità nazionale è del popolo). Gaid Salah, dopo aver abbandonato il clan della presidenza, comincia a blandire i manifestanti proponendo anche l’applicazione dell’articolo 8 («Il potere costituente appartiene al popolo»).
E mentre il movimento cerca il modo di strutturarsi, il generale ormai accreditato come «amico del popolo», prepara la prossima mossa: sostituire Bensalah (una delle tre B) con un Consiglio presidenziale, per formare il quale sta consultando personalità che non dovrebbero essere sgradite alla piazza.