Una marea umana ha invaso ieri le strade di Algeri e di tutte le principali città del paese, da est a ovest, da nord a sud, per protestare contro la pretesa del presidente della Repubblica (o di chi detiene il potere) di presentarsi per il Quinto mandato alle elezioni del 18 aprile. Una folla come mai si era vista. Centinaia di migliaia, secondo il quotidiano El Watan.
Ad Algeri l’appuntamento era in diversi punti della città per poi convergere alla centrale place Audin. I lacrimogeni sparati in alcuni punti della città (piazza primo maggio, rue Didouche Mourad) non hanno scoraggiato i manifestanti che hanno proseguito nella marcia, decisi a non accettare provocazioni. L’obiettivo era il palazzo della presidenza della Repubblica. Vuoto, visto che il presidente Abdelaziz Bouteflika ieri era ancora a Ginevra, dove è ricoverato per controlli.
Del resto il suo stato di salute, dopo l’ictus che lo ha colpito nel 2013, lo esclude da contatti con il pubblico e anche dalla possibilità di governare. I giovani che hanno dato vita a questa protesta – in una settimana replicata da studenti, avvocati, giornalisti – non hanno conosciuto altri presidenti che Bouteflika al potere da vent’anni. La sua carriera politica era iniziata ai tempi di Boumediene come ministro degli esteri.
«Battaglia di Algeri Atto II», ha scritto qualcuno su Twitter: forse il riferimento era alla partecipazione di una combattente della Battaglia di Algeri Atto I del 1962, Djamila Bouhired. Segno che il movimento del 22 febbraio (diventata ormai una data storica per gli algerini) non è più solo di giovani – anche se in Algeria il 45% della popolazione ha meno di 25 anni – ma si è saldato con tutte le generazioni precedenti che si sono battute e si battono per una «Algeria libera e democratica» (altro slogan della manifestazione di ieri). E lo si vede nelle piazze occupate dai giovani, ma anche da meno giovani, donne e uomini, famiglie intere.
Forse proprio l’età ha permesso ai giovani di non subire il ricatto della paura di chi ha vissuto negli anni ’90, il decennio nero del terrorismo. Che invece ha cercato di rievocare il primo ministro Ahmed Ouyahia, riferendosi per la prima volta alla protesta davanti ai deputati dell’assemblea nazionale, giovedì scorso.
«Mi ricordo il 1991, era come oggi. Leggo ora che c’è un appello allo sciopero, mi ricordo lo sciopero del 1991», ha affermato con una chiara allusione all’inizio del periodo nero. Ma allora erano stati gli islamisti – che avevano cavalcato la protesta indetta da sindacati ed esponenti della sinistra, dopo che loro erano stati incarcerati – a indire lo sciopero generale come mezzo per prendere il potere. Ora la protesta è assolutamente laica (ieri non hanno aspettato la fine della preghiera per manifestare) e soprattutto pacifica, silmya è lo slogan che caratterizza questa «intifada».
È compito del governo evitare che una repressione feroce come in passato lasci spazio agli islamisti. Ouyahia ha proseguito paventando un’altra deriva: «I cittadini hanno offerto rose ai poliziotti, mi ricordo che anche in Siria è cominciata così». Non a caso uno degli slogan ieri era proprio: «L’Algeria non è la Siria».
Anche in Siria peraltro non sono state certamente le rose a provocare la guerra, ma le interferenze straniere. Uno spauracchio, quello delle «interferenze straniere», che il primo ministro algerino non ha evitato di agitare, visto che gli appelli alla manifestazione sono «anonimi».
Le manifestazioni convocate via social network non sono indette da partiti o associazioni, anche se diverse associazioni della società civile vi hanno aderito, e alcuni politici dell’opposizione ieri erano in piazza. Presenti in forze le donne, che facevano riecheggiare i loro youyou, in segno di vittoria (che deve ancora venire).
Con i loro cartelli vi erano ragazze che manifestavano per la prima volta e donne che ricordavano le loro manifestazioni del 1994 contro il terrorismo, quando per scendere in piazza occorreva molto coraggio. Oltre che pacifiche queste manifestazioni sono molto allegre, quasi gioiose, forse perché finora non vi è stata repressione, piene di ironia, alla quale contribuiscono vignettisti, come il famoso Dilem.
La voglia di cambiare, di mettere fine a un sistema che ha mantenuto il paese in una impasse politica, è evidente, ma occorrerà passare a una fase più propositiva. Intanto, domani devono essere presentate le candidature per le elezioni. Difficile immaginare che i sostenitori di Bouteflika rinuncino al loro candidato, ma lo dovranno fare opponendosi a chi sta manifestando.
Oppure, potranno essere sospese le elezioni del 18 aprile? Anche questo appare improbabile. Tra le proposte vi è quella di eleggere una costituente per elaborare una nuova costituzione. Un processo che però non può essere gestito da chi detiene il potere, perché non cambierebbe nulla. Dopo questa prova di forza restano le incognite per il futuro.