Lunedì il capo del governo tunisino Youssef Chahed ha presentato al parlamento il suo governo rimaneggiato per il voto di fiducia. Non è stata una formalità, l’approvazione è arrivata a tarda notte dopo un’ottantina di interventi.
SI È VOTATO su ogni nuovo ministro o sottosegretario (tredici in tutto). La maggioranza richiesta era di 109 voti, garantita da Ennahdha e dalla Coalizione nazionale. Contro, tra gli altri, il Fronte popolare.
In parlamento erano presenti solo 160 deputati, poiché Nidaa Tounes (partito finora di governo) ha boicottato la seduta. I voti ottenuti dai nuovi ministri sono andati dai 131 di Karim Jamoussi, nuovo ministro della giustizia, al minimo di 115 andati a Ahmed Gaaloul, sottosegretario allo sport. Il passaggio parlamentare si è reso necessario per la non condivisione delle scelte di Chahed da parte del presidente Béji Caid Essebsi, informato solo all’ultimo della composizione del nuovo governo. Il rimpasto di governo era atteso da sei mesi, da quando era avvenuta la rottura sugli accordi di Cartagine. Lo scontro è nato sulla guida del governo: il presidente Essebsi e il sindacato, l’Ugtt, volevano le dimissioni di Youssef Chahed, difeso invece da Ennahdha (il partito islamista, al governo con i laici di Nidaa Tounes) e Utica (la Confindustria locale).
È COMINCIATO ALLORA un braccio di ferro che ha portato alla paralisi. Youssed Chahed, espressione di Nidaa Tounes nel 2016, passava nel campo islamista, che finora lo ha appoggiato incondizionatamente. Chahed, che aveva creato molte aspettative con un programma che puntava tutto sulla lotta alla corruzione, alla fine ha profondamente deluso. Questo rimpasto quindi segna la rottura tra i due maggiori partner di governo: Nida Tounes e Ennahdha, una rottura forse inevitabile in vista delle elezioni del prossimo anno (presidenziali e legislative). Un’alleanza peraltro innaturale viste le diverse posizioni: il presidente punta le sue carte soprattutto sui diritti e la parità di genere, contrastati fortemente dagli islamisti. Alla vigilia del voto la deputata e portavoce del partito Nidaa Tounes, Ons Hattab, ha sostenuto che il partito islamista si è accaparrato i posti chiavi del nuovo governo, ma non è l’unica a gridare al golpe islamista. I ministri di Nidaa Tounes non si sono ancora dimessi ma il partito – colpito da nuove defezioni – li ha comunque invitati a farlo.
TRA I NUOVI ENTRATI nel governo vi è Ahmed Gaaloul nominato sottosegretario allo sport. Gaaloul era presidente della Federazione di Taekwoudo la cui sede è servita per gli addestramenti dei jihadisti e non nasconde le sue simpatie salafite.
Un altro nome particolarmente contestato è quello di René Trabelsi, ebreo e c’è chi dice con passaporto israeliano, contro la cui nomina a ministro del turismo hanno manifestato domenica associazioni e partiti politici contrari alla normalizzazione dei rapporti con Israele, favorita invece – anche se non ufficialmente – da Ennahdha. Trabelsi è l’organizzatore del pellegrinaggio alla sinagoga di Ghriba (Djerba) con la sua agenzia turistica.
Sebbene nel suo discorso Chahed abbia vantato buoni risultati, ha aggiunto che il semaforo verde per gli indicatori economici si vedrà a partire dal 2020. Anche perché «il contesto economico durante il quale abbiamo assunto l’incarico era difficile, soprattutto in termini di finanza pubblica. Abbiamo fatto dei grandi sforzi per salvare il paese». Ma Chahed ha attribuito alla crisi politica l’ostacolo maggiore a fare di più.
PER IL FUTURO PROMETTE: lotta contro l’inflazione, controllo dei prezzi, lotta contro il commercio parallelo e i monopoli, ma anche miglioramento dei servizi per i cittadini. I problemi che affronta il paese non possono essere rimandati: la disoccupazione, la richiesta di aumenti salariali che sta paralizzando il settore pubblico (uno sciopero generale è previsto per il 22 novembre), l’aumento dei prezzi, la penuria di medicinali.
A CONTENDERE AL GOVERNO le prime pagine dei giornali tunisini è stato il caso della «stanza nera» al ministero degli interni. Lunedì mattina, l’avvocato Ridha Raddaoui, membro del collettivo di difesa di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi (i due leader del Fronte popolare assassinati nel 2013), ha annunciato la decisione di citare in giudizio il ministro dell’interno per occultamento di documenti segreti. «Il giudice istruttore incaricato dell’indagine si è recato al ministero dell’interno dove ha costatato l’esistenza di una stanza chiusa contenente sacchi e documenti relativi a questo dossier», ha detto il portavoce del polo giudiziario antiterrorismo, Sofiène Selliti. Il nuovo il ministro dell’interno Hichem Fourati, si trova subito fra le mani una patata bollente. Speriamo che questa scoperta serva a fare chiarimenti sugli assassinii dei due dirigenti del Fronte popolare.
il manifesto 14 novembre 2018