Fuga da Zawiyah, al confine aspettano il peggio

La Tunisia si mobilita per aiutare i migranti

Fuga da Zawiyah, al confine aspettano il peggio
Preroll AMP

Redazione Modifica articolo

6 Marzo 2011 - 11.52


ATF AMP

L”enorme spiazzo davanti alla frontiera tra Libia e Tunisia ieri mattina era completamente trasformato: sparite tutte le code di «profughi» provenienti dalla Libia – in gran parte evacuate dal ponte aereo giornaliero tra Djerba e i paesi d”origine -, il terreno è stato occupato dalle varie agenzie di emergenza. L”impressione era di un grande circo, con pochi spettatori perché ieri, fino a mezzogiorno, erano solo un centinaio i nuovi arrivati, ghanesi, bengalesi e sudanesi. Tutti, o quasi, gli egiziani, il grosso degli arrivi dalla Libia, sono stati evacuati. Gli ultimi sono partiti con una nave militare egiziana dal porto di Zarzis ieri pomeriggio.
Alla frontiera stazionano i giornalisti, alcuni sperano di entrare in Libia con la caduta di Gheddafi. Tra le varie agenzie umanitarie è arrivata in forze anche l”Islamic relief (con i soldi dell”Arabia saudita arriva ovunque ci siano catastrofi o guerre) che ha occupato tutto il recinto davanti alla moschea. Il traffico alla dogana è tornato quasi normale, passano diverse macchine libiche sia in entrata che in uscita. Cosa verranno a fare? Qui i libici hanno molti affari, tutte le merci che si vendono nell”immenso suq di Ben Guendane arrivano dalla Libia. Così come la benzina che si vende in taniche per strada.
I profughi se ne sono andati tutti al campo di Chocha, a una decina di chilometri dalla frontiera, lasciando sul terreno il segno del drammatico passaggio, coperte, materassi, tende improvvisate, rifiuti vari. Eppure non tutti se ne sono andati, in una casa c”è qualcuno, anche alcune donne, non ne avevamo mai incontrate prima. Vengono tutti da Zawiyah, dove è in corso un”offensiva di Gheddafi per riprendersi la città. Hanno lasciato la città in preda agli scontri e ai saccheggi. Menel Mahmud, 40 anni, aveva un salone da parrucchiera, messo su con i guadagni del marito che fa il decoratore. Semi, 47 anni, mostra orgoglioso i suoi figli, due maschi e una femmina, manca il più grande, sta studiando in Italia, dice, ma è da molto che non lo sentiamo. Sono egiziani e tornano al Cairo, «lì sarà la nostra famiglia a darci da vivere, non possiamo più tornare in Libia» afferma Menel. All”interno troviamo una coppia di veri profughi, sono fuggiti dalla Somalia in guerra e ora scappano dalla Libia senza sapere dove andare. Racconta di essere fuggita da Zawiyah perché c”erano bande di «shebab» (giovani) che saccheggiavano le case. Nella sala i bambini giocano tutti insieme. Uno è figlio di Karima, tunisina, ma che ha quasi sempre vissuto in Libia.
«Sono fuggita pensando a mio figlio che ha sette anni, lì non poteva più andare a scuola, c”erano scontri, avevo paura, c”erano bande che violentavano le donne, però qui cosa faccio? Non ho nessuno, mio marito era marocchino, ma ho divorziato» racconta Karima. Cosa facevi a Zawiyah? «La donna delle pulizie, guadagnavo circa 400 dinari al mese, bastavano appena, a volte nemmeno, ma le famiglie libiche per le quali lavoravo mi hanno sempre aiutata». E ora? «Penso di tornare in Libia, anche se ho paura, aspetto un uomo che mi ha promesso di riportarmi, lavora alla dogana, mi conosce, io ho lavorato per la sua famiglia» conclude Karima asciugandosi le lacrime.
La strada da Zarzis al campo di Chocha è una colonna ininterrotta di mezzi che portano aiuti ai rifugiati, i tunisini hanno avuto uno slancio di generosità commovente.
Nel campo allestito dall”Unhcr, con 10.000 tende, non ci sono più spazi per stoccare le merci, dice Samir Abdemoumen, del ministero della sanità tunisino. Mancavano le toilette ma ora ci sono e stanno arrivando anche le docce. Per il resto non manca niente. Cosa chiede allora alla Comunità internazionale? «Chiedo a tutti i paesi, all”Europa, ai donatori, alle ong, agli organismi internazionali aerei per riportare questa gente a casa, vogliono solo andare a casa. Non sono profughi sono transitanti». È d”accordo anche Paolo Vaccari, della Protezione civile europea, che dice di avere ottenuto l”impegno della Svezia a fare da tre a sei voli, a partire da lunedì, per rimpatriare i bengalesi, praticamente gli unici rimasti (circa 8.000) insieme a 2/3.000 africani. Oltre 5.000 bengalesi ieri sono stati trasferiti ieri in altre strutture (scuole, palestre, etc). Entro 3 o 4 giorni il campo dovrebbe essere svuotato. «Ma noi non ce ne andremo, anzi la capacità del campo sarà portata progressivamente fino a 35/40.000 posti, perché non sappiamo quello che succede in Libia» dice Ramzi Dhafer dell”ufficio di coordinamento dell”Onu. Vi aspettate nuove ondate di arrivi? «Io non posso basarmi su informazioni che non ho verificato e nemmeno sul sentito dire, ma dobbiamo essere pronti per qualsiasi evenienza». Dello stesso parere anche Samir Abdemoumen e Paolo Vaccari. Quel che si teme è una fuga di libici quando cadrà Gheddafi, ma a giudicare da quello che sta accadendo a Benghazi i sostenitori del leader passano semplicemente dalla parte dei rivoltosi. ‘

Top Right AMP
FloorAD AMP
Exit mobile version