L’angoscia e lo smarrimento suscitati dalle immagini che arrivavano da Parigi, lasciano ora spazio a interrogativi e considerazioni.
Innanzitutto la freddezza e la preparazioni militare dei terroristi segna un salto di qualità nel terrorismo islamico globale. Persino l’urlo di «Allah ul Akbar» così nitido è apparso privo di emozione e di fanatismo. L’obiettivo stesso appare simbolico più che frutto di una reazione a vignette anti-islamiche, che sarebbe stato più comprensibile in occasione della pubblicazione di quelle più dissacranti. Le vignette contro Maometto pubblicate da un giornale danese nel 2005 avevano provocato mobilitazioni anti-occidentali in vari paesi musulmani, mentre l’attacco di Parigi è stato condannato con rare eccezioni di plauso (pubblicate su Twitter). L’obiettivo scelto è infatti molto «sofisticato» per le masse arabe, si è voluto colpire la laicità nella sua espressione più radicale: Charlie Hebdo in nome della libertà dissacrava e sbeffeggiava la religione come la politica o il sesso.
L’obiettivo sembra quindi più una scelta dell’islamismo francese o europeizzato. Chi può odiare tanto un simbolo della laicità se non un islamista francese?
Questo attentato è il frutto avvelenato dell’islam globalizzato, un’ideologia sostenuta anche da intellettuali occidentali che hanno convinto molti europei della loro intenzione di modernizzare l’islam mentre il vero obiettivo era ed è quello di islamizzare l’Europa. È la stessa ideologia che ha generato il califfato di al Baghdad, che in nome dell’islam globale vuole abbattere le frontiere coloniali in Medioriente.
La coincidenza con l’uscita del provocatorio romanzo di Houellebecq «Sottomissione» (traduzione letterale di Islam) sulle conseguenze della diffusione dell’islam in Europa – i musulmani sono già e saranno sempre più una presenza importante e financo preponderante – ha scatenato ipotesi drammatiche sul nostro futuro. Questo ci deve spaventare? No, ma non possiamo ignorare le contraddizioni vissute da chi, di origine musulmana, è cresciuto in un paese più o meno laico (l’Italia non lo è) e apprezza questa laicità ma non è disposto a mettere in discussione i principi dell’islam (secondo una versione integralista) soprattutto rispetto alle donne. Sono contraddizioni più laceranti nei giovani che negli adulti.
Lo scontro più duro tra un mondo sostanzialmente laico e la volontà di imporre una visione più ortodossa dell’islam si è verificato di recente proprio in un paese musulmano come la Tunisia. Non a caso i due fratelli franco-algerini ritenuti responsabili dell’attentato terroristico di Parigi – Chérif e Said Kouachi – sono legati alla filiera jihadista Buttes-Chaumont di Boubaker al Hakim, franco tunisino, che ha rivendicato nel dicembre scorso, l’assassinio dei due noti esponenti del Fronte popolare, Chokri Belaid e Mohamed Brahmi. La rivendicazione, a nome dello Stato islamico (Isil), è avvenuta alla vigilia del secondo turno delle presidenziali tunisine e faceva appello al boicottaggio.
Sebbene i due giovani attentatori di Parigi siano stati indicati dagli investigatori come appartenenti ad Al Qaeda Yemen, il loro passato è più legato ad al Qaeda Iraq che sarebbe poi diventata Isil. E questo sta a indicare come il terrorismo globale non risponda più a una sigla ma molti gruppi possono agire in nome del Jihad. Kouachi era stato arruolato nel 2004 da Farid Benyettou, autoproclamatosi imam, in rottura con la moschea del suo quartiere. I due erano stati arrestati nel 2005 per la loro attività mentre Kouachi era in partenza per Damasco. Boubaker al Hakim, arrestato in Siria dove ha passato un anno in carcere, è stato estradato in Francia nel 2005, dove nel 2008 è stato condannato a sette anni, ma nel 2011 è stato liberato.
Sono solo alcune storie di jihadisti che dimostrano come personaggi già noti alla giustizia possano continuare ad agire e organizzare attentati tra una missione e l’altra sui terreni di guerra. È questo il terrorismo globale, che non può essere combattuto solo con misure di sicurezza: ancora più importante è combattere l’ideologia portata alle estreme conseguenze dai terroristi. Il «successo» in Iraq e Siria di al Baghdadi ha fatto proliferare i suoi sostenitori nel nord Africa e anche in occidente.
Ora si chiede alla comunità musulmana di condannare il terrorismo, di farlo più esplicitamente. Questo indubbiamente serve a isolare i jihadisti, ma non basta farlo quando c’è l’emergenza, la paura, occorre prestare maggiore attenzione a quelle forze, a quei religiosi, che dentro il mondo islamico si battono, a loro rischio e pericolo, per una secolarizzazione dell’islam. Non serve condannare le atrocità commesse in nome dell’islam solo quando toccano l’occidente, perché le principali vittime del fanatismo islamico non siamo noi ma i musulmani moderati e laici.
il manifesto 8 gennaio 2015