Le immagini di donne saudite al volante hanno fatto il giro del mondo. Donne sorridenti, finalmente. L’Arabia saudita era l’unico paese dove le donne non avevano la possibilità di guidare. Nel 2013 scheikh Saleh al-Louhaidan, un religioso molto noto aveva sentenziato che le donne alla guida rischierebbero di rovinarsi le ovaie!
Da domenica scorsa, dopo 27 anni di lotte, l’erede al trono saudita Mohammed bin Salman (Mbs) ha fatto la grande concessione. Dopo che in giugno erano state arrestate tre paladine della lotta a favore dei diritti delle donne con le accuse gravissime di aver avuto «contatti sospetti» con entità straniere e di aver fornito loro «soldi con l’obiettivo di destabilizzare il regno». Nonostante uno degli obiettivi della loro lotta sia stato raggiunto, Loujain al-Hathloul, Aziza al-Yousef ed Eman al-Nafjan restano in carcere come «traditrici». In Arabia saudita le donne non possono vantare conquiste, solo il principe può elargire permessi. Che non vanno a intaccare quel sistema medioevale per cui le donne non possono ancora muoversi – chiedere la patente, lavorare, votare, denunciare violenze, aprire un conto in banca, ottenere un passaporto, viaggiare – senza il permesso del guardiano maschio, sia esso il padre, il marito, il fratello o persino il figlio.
La strada per le donne saudite è dunque ancora lastricata di ostacoli. A partire dal costo da sostenere per ottenere la patente, che non è alla portata di tutte nemmeno nel regno dei petrodollari.
Manal al Sharif, una delle icone di «Women 2 drive» costretta all’esilio, ricordava che la lotta delle donne saudite non è «per guidare ma per vivere». Certo quello del divieto alla guida era un tabù inaccettabile, ma non l’unico da abbattere per «poter vivere», per l’appunto. Le donne saudite continuano a essere cittadine di serie B, eppure Mbs è riuscito a migliorare l’immagine del regno saudita nel mondo con alcune concessioni molto mirate.
Il principe ereditario aveva anche permesso la prima sfilata di moda, ma la seconda non si è fatta con le modelle in passerella bensì con dei droni che sventolavano abiti nell’aria, solo un miraggio per chi assisteva alla messa in scena. Il principe è molto abile, del resto a lui non interessano i diritti delle donne ma l’immagine dell’Arabia saudita nel mondo per sponsorizzare il suo faraonico progetto Neon, con l’investimento di 500 miliardi di dollari, che prevede la costruzione di un nuovo hub per il turismo di alto livello sul mar Rosso.
Soprattutto Mbs deve nascondere il fallimento della guerra lanciata in Yemen contro gli houthi filo-irianiani, che ha portato l’Arabia saudita al secondo posto mondiale tra gli importatori di armi, proprio in un momento in cui la diminuzione del prezzo del greggio ha messo a dura prova le finanze della monarchia saudita.
Intanto le case automobilistiche festeggiano. Secondo le stime di Bloomberg Economics, l’apertura del settore alle donne potrebbe generare introiti per 90 miliardi di dollari entro il 2030.
Le immagini di donne saudite al volante hanno fatto il giro del mondo. Donne sorridenti, finalmente. L’Arabia saudita era l’unico paese dove le donne non avevano la possibilità di guidare. Nel 2013 scheikh Saleh al-Louhaidan, un religioso molto noto aveva sentenziato che le donne alla guida rischierebbero di rovinarsi le ovaie!
Da domenica scorsa, dopo 27 anni di lotte, l’erede al trono saudita Mohammed bin Salman (Mbs) ha fatto la grande concessione. Dopo che in giugno erano state arrestate tre paladine della lotta a favore dei diritti delle donne con le accuse gravissime di aver avuto «contatti sospetti» con entità straniere e di aver fornito loro «soldi con l’obiettivo di destabilizzare il regno». Nonostante uno degli obiettivi della loro lotta sia stato raggiunto, Loujain al-Hathloul, Aziza al-Yousef ed Eman al-Nafjan restano in carcere come «traditrici». In Arabia saudita le donne non possono vantare conquiste, solo il principe può elargire permessi. Che non vanno a intaccare quel sistema medioevale per cui le donne non possono ancora muoversi – chiedere la patente, lavorare, votare, denunciare violenze, aprire un conto in banca, ottenere un passaporto, viaggiare – senza il permesso del guardiano maschio, sia esso il padre, il marito, il fratello o persino il figlio.
La strada per le donne saudite è dunque ancora lastricata di ostacoli. A partire dal costo da sostenere per ottenere la patente, che non è alla portata di tutte nemmeno nel regno dei petrodollari.
Manal al Sharif, una delle icone di «Women 2 drive» costretta all’esilio, ricordava che la lotta delle donne saudite non è «per guidare ma per vivere». Certo quello del divieto alla guida era un tabù inaccettabile, ma non l’unico da abbattere per «poter vivere», per l’appunto. Le donne saudite continuano a essere cittadine di serie B, eppure Mbs è riuscito a migliorare l’immagine del regno saudita nel mondo con alcune concessioni molto mirate.
Il principe ereditario aveva anche permesso la prima sfilata di moda, ma la seconda non si è fatta con le modelle in passerella bensì con dei droni che sventolavano abiti nell’aria, solo un miraggio per chi assisteva alla messa in scena. Il principe è molto abile, del resto a lui non interessano i diritti delle donne ma l’immagine dell’Arabia saudita nel mondo per sponsorizzare il suo faraonico progetto Neon, con l’investimento di 500 miliardi di dollari, che prevede la costruzione di un nuovo hub per il turismo di alto livello sul mar Rosso.
Soprattutto Mbs deve nascondere il fallimento della guerra lanciata in Yemen contro gli houthi filo-irianiani, che ha portato l’Arabia saudita al secondo posto mondiale tra gli importatori di armi, proprio in un momento in cui la diminuzione del prezzo del greggio ha messo a dura prova le finanze della monarchia saudita.
Intanto le case automobilistiche festeggiano. Secondo le stime di Bloomberg Economics, l’apertura del settore alle donne potrebbe generare introiti per 90 miliardi di dollari entro il 2030.