Crolla il tabù più intoccabile dell’islam: quello che assegna alle donne la metà dell’eredità rispetto all’erede maschio. Lo dice il Corano e nessun paese musulmano – ad accezione della Turchia di Ataturk – ha mai osato mettere in discussione questa prescrizione. Fino a due giorni fa quando il presidente tunisino Béji Caid Essebsi, nel discorso pronunciato in occasione della giornata della donna il 13 agosto – anniversario della proclamazione del codice della famiglia del 1956 – ha voluto riconoscere il ruolo delle donne tunisine nel progresso del paese.
E non poteva farlo in modo migliore: davanti a una platea composta oltre che dal consiglio dei ministri da molte donne in rappresentanza della società civile ha affrontato la questione dell’uguaglianza nell’eredità, sostenendo che «troveremo una soluzione per conciliare religione e principi costituzionali. La questione dell’eredità è umana, Dio e il suo profeta l’hanno lasciata agli uomini perché questi ultimi la possano gestire». E ha aggiunto che una commissione speciale sarà creata per redigere un testo di legge adeguato per raggiungere l’uguaglianza dell’eredità tra i due sessi. Ben sapendo che la decisione susciterà molte opposizioni, soprattutto da parte degli islamisti – non a caso nessun rappresentante di Ennandha era presente alla celebrazione, tranne il ministro Zied Laadhari – ha subito annunciato la composizione della commissione che sarà presieduta dalla deputata Bochra Belhaj Hmida, avvocata che ha militato nel sindacato e ha partecipato alla fondazione dell’Associazione tunisina delle donne democratiche. Considerata la voce delle donne in parlamento si è strenuamente impegnata per l’approvazione della legge contro la violenza sulle donne. Un impegno che sicuramente non sarà risparmiato nemmeno di fronte a questa nuova e importante sfida.
Le donne tunisine da anni lottano per ottenere la parità nell’eredità e anche per la possibilità di sposare un non musulmano (finora ai musulmani è permesso sposare una donna che appartenga a una religione del libro: ebrea, cristiana o musulmana, ma alle donne no). Anche questo punto è stato toccato dal presidente che, rifacendosi alla libertà di pensiero garantito dalla costituzione, ha affermato che «è necessario emendare il decreto numero 73», quello che per l’appunto impedisce alle donne di sposare un non musulmano.
L’affermazione dei diritti delle donne, secondo il capo dello stato, si basa anche sul ruolo che la donna tunisina ha nella società: la donna partecipa per il 45 per cento alle spese familiari, il 54 per cento dei crediti sono contratti dalle donne ma solo il 6,6 per cento degli investimenti sono fatti da loro. Infine Beji Caid Essebsi ha insistito sulla necessità di riequilibrare in senso egualitario il rapporto tra uomo e donna non solo nelle zone urbane ma anche nelle campagne. Per ottenerlo il governo deve «aumentare il reddito minimo delle donne che vivono nelle campagne».
Solo quindi giorni fa, in occasione dell’approvazione della legge contro la violenza sulle donne, avevamo ricordato la forte discriminazione che ancora persiste tra donne e uomini sull’eredità e come la sua cancellazione sarebbe stata un atto veramente rivoluzionario in grado di contagiare tutti i paesi musulmani. L’obiettivo non è ancora raggiunto, il percorso sarà lungo e irto di ostacoli, ma in Tunisia le donne democratiche non sono sole, hanno dalla loro parte il presidente della repubblica.
il manifesto, 15 agosto 2017