Vi ringrazio per l’invito a questa commemorazione e per l’onore che il Comitato dell’Anpi mi ha riservato.
Sono passati 72 anni da quella drammatica giornata, il 17 ottobre, in cui quattro partigiani sono stati falcidiati in un modo così brutale dai tedeschi che li inseguivano. Erano: Giuseppe Conti 22 anni, Giuseppe Faccioli 32, Gaudenzio Pratini 20 e Giorgio Fossa 17 anni. La Repubblica dell’Ossola aveva le ore contate. I quattro facevano parte di un ultimo gruppo di partigiani che stavano cercando di mettersi in salvo attraverso la funivia che li avrebbe portati al Devero per poi fuggire in Svizzera attraverso il passo della Rossa.
Un improvviso guasto alla funivia aveva interrotto la fuga a una ventina di partigiani, tra i quali i quattro caduti che oggi ricordiamo.
«Il dramma della funivia» l’ha definito Paolo Bologna che l’ha ricostruito nei minimi dettagli. In effetti si é trattato di un vero e proprio dramma, una tragica beffa. Non si possono fare classifiche di fronte alla brutalità della morte, ma il massacro della funivia è stato un vile accanimento. Non si è trattato di uno scontro a fuoco e neanche di un brutale agguato, ma di una morte arrivata quando si aveva l’impressione di poter salvare almeno la pelle e persino di poter poi rientrare in Italia per continuare la Resistenza.
Goglio era l’ultima spiaggia degli uomini del Valdossola. Era la ritirata: i partigiani con il morale a terra senza più la forza di quando avanzavano combattendo per una giusta causa, senza più ordini precisi dei loro capi, procedevano in ordine sparso. Anche quando si difendono le migliori cause, e la liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo era sicuramente la più nobile, si possono commettere errori di valutazione, distrazioni. E forse non solo errori, anche se le voci su un sabotaggio dell’impianto alla fine non sono state confermate.
Ho voluto soffermarmi sui particolari di quanto accaduto il 17 ottobre del 1944, qui a Goglio, perché mettono in evidenza le insidie della guerra, di tutte le guerre fino a quelle più atroci – con l’uso di armi molto più sofisticate – cui stiamo assistendo ora e che sono spesso dimenticate perché lontane da noi. Ma non sono così lontane, così come non siamo estranei alle cause che le hanno provocate e che continuano ad alimentarle, mi riferisco alla Libia, ma anche all’Iraq e alla Siria. E all’esportazione di armi all’Arabia saudita.
I particolari servono a ricordare in un paese che tende a cancellare la propria memoria. Soprattutto quella della resistenza. Ricordate quando Berlusconi aveva detto che voleva incontrare i genitori dei fratelli Cervi? O più recentemente quando Di Maio ha attribuito il dittatore Pinochet al Venezuela?
Non si possono dimenticare coloro che hanno combattuto per portare nel nostro paese la libertà e la democrazia. Gli ideali che hanno ispirato la Resistenza e che la Repubblica dell’Ossola, seppur per breve tempo, ha concretizzato diventando uno spunto per la costituente della Repubblica italiana presieduta da Umberto Terracini che aveva affiancato la Giunta di governo dell’Ossola.
Ideali che per volontà dei costituenti sono sanciti dalla Costituzione italiana che ancora oggi costituisce un modello di democrazia. Una Costituzione che oggi dobbiamo difendere da chi, in nome del «cambiamento comunque» con l’alibi della riduzione dei costi della politica, riduce il senato non eletto dai cittadini a un dopolavoro di sindaci e consiglieri regionali con un pasticcio di competenze che rischia di paralizzare i lavori delle camere per ricorsi e controricorsi e sacrifica al potere centrale l’autonomia delle regioni in barba al tanto decantato federalismo. E tutto questo aggravato da una legge elettorale che prevede una camera dei deputati con i due terzi dei parlamentari nominati e con un premio di maggioranza che rischia di sacrificare la rappresentanza democratica in nome della governabilità, come se questa si ottenesse solo comprimendo la democrazia e non, al contrario, valorizzando le diversità e ricercando la sintesi delle diverse opinioni o posizioni politiche.
Dobbiamo difendere la Costituzione nata dalla resistenza anche nell’art 11 che ripudia la guerra. Un articolo che nessuno osa toccare ma che viene regolarmente violato con il pretesto di portare o esportare «democrazia» o peggio ancora, con l’invio di truppe al confine con la Russia alimentando così il ritorno alla guerra fredda.
Tocca a noi, a partire da qui, difendere la Costituzione in nome della pace e della democrazia affinché commemorazioni come quella di oggi non restino vane parole o semplice testimonianza.
Lo dobbiamo ai centomila caduti per la libertà e la democrazia.
intervento di Giuliana Sgrena alla commemorazione di Goglio, 16 ottobre 2016