Non era mai accaduto o, perlomeno, con questa intensità. Sarà forse perché diversi partiti politici hanno dichiarato di aver arruolato la società civile, ma in questa campagna elettorale ogni giorno vediamo associazioni che sottopongono ai candidati le loro richieste. Iniziative giuste, la differenza rispetto al passato è che ora i candidati si esprimono, forse troppo.
Riusciranno a mantenere tutte le promesse che fanno? Il compito più arduo delle associazioni sarà quello di verificare la coerenza degli eletti. Va da sé che poi saranno accampati gli ostacoli frapposti da coloro che tali appelli non hanno firmato o non hanno risposto alle domande ma è verosimile aspettarsi battaglie campali su temi come l’ambiente, la pace, il bilancio dello stato, il welfare, i diritti umani? Ma se, come speriamo, sarà il centrosinistra a vincere, e con un buon margine, molte delle nostre preoccupazioni non avrebbero ragione di esistere.
Tuttavia, non posso fare a meno di pensare ai tempi in cui, negli anni ’80, impegnata nel movimento pacifista cercavamo di sottoporre ai candidati i nostri quesiti. Allora era un compito arduo. Ancor di più mobilitare i deputati eletti. Le centinaia di lettere inviate nelle caselle postali di Montecitorio erano per lo più ignorate. La classe politica era diversa. Purtroppo molti sono gli stessi ma forse hanno cambiato atteggiamento.
Un dubbio però mi viene: in questa campagna elettorale così paludata, resa inutile (per i vari candidati) dal Porcellum, svuotata di contenuti da interviste televisive e sui giornali concentrate sempre e solo sulle alleanze, senza mai chiedere ai candidati le loro proposte, rispondere agli appelli è forse l’unico modo per esprimersi, far apparire il loro nome e assumere un minimo di protagonismo.
Se questo è un’opportunità per i candidati non può però essere l’obiettivo delle associazioni che sottopongono gli appelli, siamo sicuri che questo sia, o sia ancora, uno strumento utile?