I funerali di Baldoni | Giuliana Sgrena
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I funerali di Baldoni

un addio a riflettori spenti

I funerali di Baldoni
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28 Novembre 2010 - 11.52


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Nella chiesetta di Preci, un paesino al confine tra Umbria e Marche illuminata da un pallido sole, si sono svolti ieri i funerali di Enzo Baldoni, pubblicitario e giornalista free lance, rapito in Iraq nell”agosto del 2004 e ucciso dai suoi sequestratori pochi giorni dopo, il 27 agosto. Non lo avevo mai conosciuto, ma la sua immagine, quella del video diffusa dai suoi sequestratori, mi aveva accompagnata durante tutta la mia prigionia, insieme al terrore di poter fare la sua stessa fine. Orribile. Solo nell”aprile di quest”anno sono arrivati in Italia resti del suo corpo, sottoposto a ulteriori tormenti per verificarne l”appartenenza, attraverso l”analisi del Dna. Un tormento soprattutto per la famiglia, che in tutti questi anni aveva fatto di tutto per ottenere quei poveri resti. Che ora sono lì dentro quel simulacro di bara, una cassa troppo piccola per un corpo normale, e Enzo era anche un pezzo di ragazzo. Un funerale che forse potrà servire all”anziano padre che non sa darsi pace. La sepoltura di quel che è arrivato in Italia da Baghdad potrà dare inizio all”elaborazione del lutto per la perdita di un figlio, marito, padre e fratello. La piccola chiesa è gremita, ma molti sono rimasti fuori. Nonostante il clamore suscitato dal suo caso, che rimarrà comunque avvolto nel mistero per quanto riguarda lo svolgimento reale dei fatti, la sua sepoltura ha visto la presenza soprattutto di amici e degli abitanti di Preci che l”avevano visto crescere, anche se lui era nato a Città di Castello nel 1948 e poi, da grande, si era trasferito a Milano per fare il pubblicitario. Pochi i giornalisti mischiati tra la folla, la cerimonia non è di quelle che suscitano applausi per le tv, è semplice e composta. È il miglior omaggio a Enzo. L”unico applauso è per il coro che è arrivato da Milano per cantare in chiesa. Pochi i fiori, perché la famiglia aveva chiesto invece offerte, depositate in una cassetta davanti alla chiesa, per sostenere un progetto per mantenere un orfanotrofio che si trova vicino a Nazareth. Il modo più concreto per ricordare Enzo e le sue attività di sostegno a popoli che scopriva con le sue spedizioni giornalistiche in luoghi difficili e anche pericolosi. Purtroppo sempre più pericolosi, l”Iraq soprattutto: sono 230 i giornalisti uccisi dal 2003, un record assoluto, la maggioranza iracheni, 92 i rapiti, alcuni dei quali uccisi, come Enzo Baldoni. Che arrivato in Iraq aveva subito voluto impegnarsi in un”azione umanitaria al seguito della Croce rossa italiana, che forse proprio umanitaria non era. La Croce rossa italiana infatti era servita come copertura all”intervento militare italiano in Iraq. Prima dell”arrivo delle truppe a Nassiriya era stato inviato un ospedale da campo a Baghdad, ma erano più i carabinieri che lo proteggevano degli operatori sanitari che vi lavoravano. La Croce rossa internazionale aveva disconosciuto e osteggiato questa missione protetta dai militari, ma la Cri non se ne era curata e aveva persino assunto le regole militari – o almeno le ha usate come pretesto – che non permettono al convoglio di fermarsi anche se uno dei componenti viene fermato, si trova in pericolo, cade in una imboscata come è successo a Baldoni. Caduto nella trappola, al centro di quello che veniva chiamato il triangolo della morte. Per andar da Baghdad a Najaf – dove la Croce rossa italiana aveva portato aiuti al Jaish al Mahdi, le milizie armate del leader radicale sciita Muqtada, sotto assedio ma che a loro volta controllavano Nassiriya – bisognava per forza attraversare quella strozzatura di Mahmudia, una strada stretta che attraversa il villaggio sempre intasata dal traffico. Un luogo ideale per bloccare passanti e sequestrarli, farli sparire. Enzo Baldoni non ha avuto nemmeno il tempo di vedere tutto il degrado provocato dalla guerra, il suo viaggio in Iraq è stato troppo breve, ma ha vissuto sulla sua pelle gli effetti più tremendi di un conflitto, dove nemmeno gli aiuti umanitari servono a salvare le vittime della guerra ma rientrano nello scambio di favori per proteggere le missioni di «pace» degli eserciti che vanno a fare la guerra.’

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