Apocalisse a Baghdad

Stragi per destabilizzare il paese in vista delle elezioni

Apocalisse a Baghdad
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9 Dicembre 2009 - 11.52


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Un boato dopo l”altro, con un sincronismo perfetto. Nubi di fumo nero che si alzano in diversi punti della città. Sono le 10 e 30 a Baghdad, proprio come il 25 ottobre scorso. Nuovi attentati, altri massacri, in vista delle prossime elezioni. Il bilancio di quelli di ieri è pesantissimo: 127 morti e 448 feriti. Un mese e mezzo erano rimaste uccise 155 persone e 500 ferite. Numerose le vittime di attentati anche lo scorso agosto.La sicurezza vantata dal premier Nuri al Maliki è sconfessata da questi attentati terroristici senza precedenti. Ultimamente ad essere presi di mira erano stati solo i simboli del potere (ministeri e istituzioni governative), anche se poi a morire erano soprattutto civili che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ieri invece sembrava tornato il terrorismo nelle sua forma più originale: quella che prevede di colpire nel mucchio.Anche ieri è stato colpito, da tre bombe, un ministero, quello del lavoro e degli affari sociali. Le altre però erano dirette contro gli studenti dell”Accademia delle belle arti, un”oasi degli intellettuali iracheni persino durante la guerra. E poi un”altra esplosione ha devastato uno dei mercati più popolari di Baghdad, al Shorja, con le sue centinaia di bancarelle che negli ultimi anni pure sono diminuite, alcune nascoste dietro le lastre di cemento che deturpano la città, ma non proteggono dagli attentati.Gli iracheni che hanno ricominciato a vivere dopo un periodo di relativa sicurezza non si illudevano: con l”avvicinarsi del voto l”escalation di violenza era attesa. Le bombe di ottobre sono coincise con una riunione del Consiglio per la sicurezza nazionale che doveva cercare di raggiungere un accordo sulla legge elettorale bloccata in parlamento; quelle di ieri sono seguite all”approvazione definitiva della legge avvenuta domenica sera dopo una seduta fiume. Il varo della legge ha dato il via alla preparazione delle elezioni politiche che si terranno il 7 marzo (inizialmente erano previste per il 16 gennaio).Quale può essere l”obiettivo di questi attacchi? Screditare il premier che aveva fatto della sicurezza del paese il suo fiore all”occhiello, indurre qualche forza al boicottaggio delle elezioni o semplicemente seminare paura e terrore? Pensare che qualche forza possa boicottare con successo il voto è improbabile: l”avevano minacciato recentemente i kurdi, ma non sembra questo il fine dei terroristi. L”obiettivo di screditare al Maliki è più raggiungibile ma non servono gli attentati, sono in molti in Iraq ad accusarlo di una gestione autoritaria – per non dire dittatoriale – del potere, nonostante la sua lista si chiami Coalizione per lo stato di diritto.Più consistente potrebbe essere l”interesse, non solo di forze irachene ma anche da parte di altri governi, a destabilizzare il paese in vista di un ritiro, anche se parziale, delle truppe statunitensi. Forse in questo momento, visto l”impegno in Afghanistan, sono proprio gli americani i meno interessati alla destabilizzazione dell”Iraq. Mentre potrebbero esserlo i paesi che temono la ripresa di protagonismo di un Iraq più sovrano e ricco di petrolio, anche se privatizzato. E anche coloro che vogliono distogliere le forze dall”Afghanistan: in questi anni c”è stato un continuo spostamento di jihadisti dall”Afghanistan all”Iraq e viceversa, quando sono stati messi in difficoltà dalle offensive dei Consigli del risveglio (Sahwa), le milizie irachene sostenute dagli americani. E ieri uno degli attacchi ha colpito un posto di blocco ad al Dora, quartiere sunnita al sud di Baghdad, e tra le vittime (15) c”erano anche alcuni militanti di al Sahwa.Il vero interrogativo che si pone è come quantità così ingenti di esplosivo possano avvicinarsi agli obiettivi da colpire (anche se non possono centrarli, perché sono stati protetti) senza delle connivenze nei servizi di sicurezza.Dopo l”attentato di ottobre sono stati arrestati 60 membri di servizi di sicurezza, ma non si sa con quale accusa. Si tratta comunque di un segnale inquietante.’

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