La guerra dentro

La logica di guerra che ti stritola

La guerra dentro
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7 Novembre 2009 - 11.52


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«Sono a migliaia di chilometri da Kerbala ma la guerra è tornata con me», scrive il sergente statunitense Jimmy Massey, il primo militare statunitense ad aver denunciato le atrocità della guerra in Iraq. La guerra che ti insegue con i suoi incubi e ti impedisce di vivere per il resto dei tuoi giorni. È successo a molti soldati che sono partiti convinti di dover difendere il proprio paese dal terrorismo, di liberare l”Iraq da Saddam e poi si sono ritrovati loro stessi prigionieri. Prigionieri di una logica di guerra che ti stritola che non ti permette di ritornare a casa, di ritrovare una vita normale, il lavoro, gli affetti. Uno stress, una depressione che ti logora fino a farti considerate il suicidio il minore dei mali. Il suicidio uccide più soldati americani della guerra. È la guerra combattuta lontano da casa per difendere – si dice – la propria sicurezza, che diventa un boomerang che colpisce nel profondo la società americana. I reduci che tornano a casa si portano dietro la guerra come una malattia, come un germe che si diffonde e contro il quale non esistono vaccini. Valeva per i militari reduci dal Vietnam che ancora oggi soffrono e vale a maggior ragione per i reduci delle guerre contemporanee, quelle ancora in corso, in Iraq o in Afghanistan. La guerra si dimostra incontrollabile per i suoi effetti negli scontri lontano da casa perché provoca più vittime tra i civili che tra i combattenti e per i militari che l”hanno combattuta non finisce nemmeno quando abbandonano il fucile. Forse non lasceranno mai le armi, perché quando hai combattuto contro popolazioni inermi anche il vicino di casa può apparirti come un nemico, soprattutto se è un arabo o peggio un musulmano, come quelli che sono finiti sotto il fuoco della tua mitragliatrice. Una società che per sopravvivere deve continuamente costruirsi dei nemici finisce per diventare nemica di se stessa, si autodistrugge. Questo vale anche per il terrorismo e il suo effetto destabilizzante. Combattere il terrorismo solo con le armi, senza vedere la sua portata ideologica non ti permette di eliminarlo. E non sarà un attacco terroristico a privarti della tua libertà, a farlo saranno le misure di sicurezza per evitarlo. L”effetto sembra più devastante sugli Stati uniti che non sugli altri paesi occidentali che pure hanno partecipato alle spedizioni di Bush e ancora sono impegnati sui teatri di guerra. In Europa non assistiamo allo stesso stillicidio dei soldati americani. Perché? Forse per l”ideologia che sta dietro la preparazione della guerra negli Stati uniti: si va in guerra per difendere la propria democrazia, il futuro dei propri figli. Si va a combattere un nemico che non si conosce in un paese che non si sa nemmeno dov”è sulla cartina geografica, quindi si è più vulnerabili. E lo si è ancora di più se non si va per difendere il proprio paese ma per acquisire il permesso di soggiorno o la cittadinanza, oppure per pagarsi gli studi. In questo caso il prezzo da pagare è insopportabile, ma è difficile tornare indietro. E quando lo fai ti porti dietro quel fardello di morti che hai lasciato sulla strada, che non potrai dimenticare perché non erano un nemico che ti combatteva, era uno sconosciuto che ti terrorizzava solo perché non sapevi chi era. Una sorta di nemico invisibile che si concretizza dietro l”angolo. Questa è la guerra asimmetrica, non bastano le armi più sofisticate per combatterla, ti si ritorce sempre contro.’

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