Ostinata informazione

La guerra quotidiana dei media per la libertà di informazione

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9 Agosto 2009 - 11.52


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In un sotterraneo dell”hotel Palestine ha sede la tv al Horra, creata dagli americani dopo la caduta di Saddam e ancora oggi da loro finanziata. Paradossalmente non è la tv più controllata e censurata dal governo filo-americano che dispone della governativa al Iraqiya. I giornalisti di al Horra, tutti iracheni che non hanno mai lasciato il paese nemmeno ai tempi di Saddam, sono orgogliosi di difendere la loro indipendenza. Compito arduo anche nell”Iraq del dopo Saddam, ma hanno una esperienza consolidata per non lasciarsi intimidire dalle decisioni del governo e, dicono, nemmeno dagli americani.Quando arriviamo i giornalisti stanno discutendo animatamente di un provvedimento appena emanato dal Farf al Qanun, un centro costituito a Baghdad per l”attuazione del piano per l”applicazione della legge. Si tratta di una disposizione che prevede una autorizzazione per i giornalisti che vogliano fare interviste per strada. «Se aspettiamo un”autorizzazione le interviste perderanno la loro attualità, vogliono impedirci di far sentire la voce della gente» sostiene uno, tutti concordano che sia un provvedimento inaccettabile. E da denunciare immediatamente all”Osservatorio per la libertà di stampa, un organismo costituito in Iraq da un gruppo di giornalisti – diretto da Ziad al-Ajili – che ogni giorno denunciano i soprusi e le violenze subite dai media. Mentre la discussione si anima arriva il generale della polizia Tahsin al Shekhli, che lavora al ministero degli interni. Il generale sostiene di non saperne nulla e comunque di essere contrario al provvedimento.Fellah al Darabi, coordinatore della produzione di al Horra, disegnatore e critico d”arte ai tempi di Saddam, ritiene che il provvedimento sia contro la costituzione. Ha telefonato al Farf al Qanun, e la risposta del portavoce è stata «il provvedimento serve a proteggere i giornalisti e comunque ora non ho tempo per parlarne». Al Darabi dalla sua tv ha lanciato un appello a tutte le emittenti private perché ignorino l”imposizione.Si tratta di uno spaccato di vita quotidiana nella tv che cerca di difendere la propria professionalità. I politici cercano tutti di intervenire per controllare l”informazione, per far passare una posizione politica oppure per correggere una denuncia, quelle di corruzione sono le più ricorrenti. Mantenere le proprie posizioni non è facile e non mancano le minacce da parti diverse: il coordinatore della tv vive all”interno dello stesso hotel Palestine per non correre pericoli, anche se una volta i missili sono arrivati fino a qui.Rafd Mahdi invece, nonostante i rischi, torna a casa tutti i giorni: «Ho una figlia che va a scuola, quindi non posso vivere in albergo». Rafd è una delle cinque donne (su 60 persone dello staff) che lavora a al Horra, è responsabile dell”informazione, un ruolo che le attira critiche e minacce. Era stata accusata dal governo di essere di al Qaeda per un nome trovato in una lista che era simile al suo, alla sua famiglia invece sono stati inviati dei proiettili con la richiesta di lasciare l”Iraq. E così i genitori si sono trasferiti in Egitto, ma lei resiste.Lavora alla tv americana dal settembre 2004, dopo aver lavorato per radio Cairo e l”Associated press. Le donne – chiedo – potranno avere un ruolo maggiore nel futuro? «Non nel futuro immediato, almeno in parlamento, perché i gruppi parlamentari sono costituiti su basi confessionali. Le donne sono molto più impegnate ma non hanno sufficiente spazio, forse nel futuro quando la politica non sarà più solo propaganda….».Qualche donna in più la troviamo nella redazione di al Mahda, un giornale indipendente, il più importante e storico. La sede è grande e nuova, l”entrata protetta da un controllo minuzioso di auto e persone, ma senza grandi barriere in cemento. La fondazione, nota in tutto il Medioriente per le sue attività culturali, oltre a pubblicare il quotidiano, dispone di una televisione, una casa editrice con sedi a Beirut e Damasco, e a Baghdad nella storica via di Moutanabi (c”è il mercato dei libri), dove ogni venerdì si organizzano dibattiti culturali. È il punto di riferimento degli intellettuali e artisti di sinistra.Al Mahda è un importante punto di vista sulla situazione. «La situazione è più stabile e un cambiamento è atteso dalle prossime elezioni», sostiene Nazar Abdul Settar, editorialista politico del giornale, confermando un”opinione diffusa tra gli intellettuali iracheni, «Sicuramente sarà meno forte la presenza dei partiti religiosi». C”è chi teme un indebolimento dal ritiro degli americani, «È vero c”è preoccupazione, ma penso che la situazione sarà stabile, anche se permane una mentalità tribale che non crede nella politica e fa pressione sul governo per ottenere maggiore indipendenza».La debolezza più evidente nel governo sta forse nel continuo rinvio della ricostruzione. «Per il governo la priorità è la sicurezza, mentre per la gente contano l”elettricità, i servizi sociali. La società civile si preoccupa per la corruzione, evolve più velocemente del governo e dopo le elezioni imporrà un superamento dei blocchi attuali», sostiene il giornalista.Al prossimo governo spetteranno scelte strategiche (es. scelta tra stato unitario o federale) su cui peserà il ruolo del parlamento. Attualmente giacciono in parlamento leggi importanti come quella sul petrolio, sull”ordinamento delle ong e sulla libertà di stampa. Ma «questa legge non passerà a causa delle pressioni che stiamo portando avanti contro la sua approvazione, questa legge protegge il governo ma non i media e i giornalisti», sostiene Ziad al Ajili, direttore dell”Osservatorio per la libertà di stampa in Iraq (Jfo). Si tratta di un organismo indipendente che deve fare i conti con le pressioni che vengono «sia dal governo che dai partiti e anche dalle vecchie leggi dei tempi di Saddam». Che cosa può fare in questa situazione il vostro osservatorio? «Proteggere i media e il lavoro dei giornalisti e garantire un ambiente in cui i giornalisti possano lavorare per denunciare la corruzione e raccontare una realtà che rispetti la giustizia». Questa vostra azione non favorirà i vostri rapporti con le autorità. «Le relazioni sono semi-tese, perché la voce del Jfo è forte sia in Iraq che fuori contro le violazioni dei diritti dei giornalisti e questo non è gradito al governo, ma il Jfo ha buone relazioni con alcuni esponenti del governo che invece difendono la libertà di stampa».Il lavoro quotidiano del Jfo è estremamente importante in questo momento in Iraq, ma le difficoltà sono molte, soprattutto riguardano i finanziamenti, tanto che è stata sospesa la traduzione del web in inglese (www.jfoiraq.org). ‘

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