Domani l”Iraq (14 province su 18) torna alle urne per le elezioni amministrative. Chi ha scelto la data non ha tenuto presente che veniva a cadere proprio durante il pellegrinaggio degli sciiti a Kerbala dove è sepolto l”imam Hussein, figlio di Ali e uno dei martiri più venerati dello sciismo. Questo è il periodo in cui per le strade del sud iracheno – a maggioranza sciita – si vedono processioni di pellegrini che si dirigono verso una delle città sante con le loro bandiere verdi listate a lutto. Per arrivare da Bassora a Kerbala ci vogliono due settimane e più, gran parte delle percorso viene fatto a piedi, sarà dunque difficile tornare in tempo per il voto, tanto più che dalla vigilia sarà in vigore un coprifuoco elettorale, gli aeroporti saranno chiusi e non sarà possibile attraversare i confini tra una provincia e l”altra. Molti sciiti rischiano dunque di non votare proprio mentre lo scontro per il controllo delle amministrazioni locali tra i vari partiti sciiti assume una rilevanza di test nazionale. Di fronte a queste difficoltà il grande ayatollah Ali al Sistani che non è estraneo alle sorti politiche dell”Iraq, dove vive da quarant”anni pur essendo iraniano, ha indicato ai fedeli di intraprendere il pellegrinaggio dopo il voto. Una vittoria elettorale val più di un pellegrinaggio nei tempi stabiliti dal rituale religioso, del resto nel 2005 per convincere gli elettori aveva emesso una fatwa che imponeva il voto come dovere religioso.C”è anche chi è più solerte. Ad alcuni pellegrini è stato offerto un passaggio in macchina per ritornare a casa purché votassero il Consiglio supremo islamico per l”Iraq (Sciri), che già controlla la maggioranza delle amministrazioni locali. Lo Sciri pur essendo alleato di governo del partito Dawa, in queste elezioni si gioca una partita importante rispetto alle prossime elezioni legislative e alla guida del governo. Proprio in vista delle elezioni del resto il premier al Maliki era sceso in campo direttamente per reprimere i radicali seguaci di Muqtada al Sadr, che questa volta partecipano ufficialmente al voto.Negli ultimi tempi infatti è accresciuto il potere del Dawa cui appartiene il premier Nuri al Maliki che vanta come un successo l”accordo con Bush per il ritiro delle truppe americane entro il 2011, una scadenza che potrebbe addirittura essere anticipata se Obama, che aveva promesso, decidesse di accelerare i tempi. Anche se un contingente non irrilevante (si parla di 50.000 uomini) resterebbe comunque in Iraq in apposite basi in costruzione per intervenire in caso di «necessità». Comunque l”accordo è incassato, così come il ritiro delle truppe Usa (anche se solo dietro le quinte) da luoghi simbolici come la zona verde di Baghdad o Falluja, e anche una relativa sicurezza. Che non è certo merito del governo al Maliki, ma dell”accordo tra il generale Petraeus e i Consigli del risveglio sunniti per combattere al Qaedad. Sebbene la scadenza elettorale abbia registrato delle vittime, a Falluja e nell”ancor turbolenta Baquba oltre che a Mosul – evidentemente i residui gruppi di al Qaeda non si vogliono rassegnare alla via elettorale -, la situazione non è paragonabile a quella del 2005.La situazione è estremamente diversa soprattutto nel triangolo sunnita dove, nel 2005, i gruppi armati avevano organizzato un boicottaggio del voto sotto occupazione. Alle amministrative partecipano non solo i gruppi già presenti in parlamento ma anche nuovi partiti tribali formati dai Consigli del risveglio, che nella provincia di Anbar rappresentano una sfida importante al finora maggioritario Partito islamico sunnita.Le più sfavorite in questo voto sono le donne. Proprio in Iraq che aveva primeggiato fra i paesi arabi per avere donne ministro già negli anni cinquanta e aveva applicato un codice di famiglia tra i più avanzati nel mondo musulmano, dopo la guerra e l”occupazione, la condizione delle donne ha subito un notevole arretramento. Nella costituzione tuttavia, per garantire la presenza delle donne nelle istituzioni, è garantita una quota del 25 per cento. Quota rispettata nelle elezioni del 2005, ma che nella legge elettorale per le amministrative, varata in ottobre, è misteriosamente scomparsa. Difficile credere a una svista o dimenticanza. Sta di fatto che le donne pur numerose nelle liste non avranno la garanzia di occupare un quarto dei seggi, anche perché la loro campagna elettorale è molto più a rischio: molte sono le minacce che arrivano via lettera, telefono o email.Di fronte a questa scadenza elettorale la speranza si alterna allo scetticismo. «Non possiamo avere fiducia in questi candidati, come nelle elezioni del 2005. Che cosa hanno fatto per noi? Che servizi hanno garantito al nostro paese? Non voterò per nessuno», ha dichiarato all”Ips un elettore di Sadr City. Sadr City è un quartiere particolarmente degradato, fin dai tempi di Saddam, dove vivono circa 3 milioni di sciiti tra montagne di immondizie e fogne a cielo aperto, e dove i bombardamenti avevano provocato l”inquinamento dell”acqua potabile. Le successive battaglie degli americani e dell”esercito iracheno contro l”esercito al Mahdi di Muqtada al Sadr, che qui ha la sua roccaforte, hanno ulteriormente contribuito alla distruzione.L”acqua e l”elettricità continuano a mancare per molte ore, ovunque. Condizioni che, insieme alla mancata costruzione di abitazioni, rendono difficile il rimpatrio degli iracheni profughi nei paesi vicini (2,4 milioni tra Siria e Giordania) e sfollati all”interno del paese (circa 2,8 milioni, dati Iom). Finora è ancora maggiore il numero degli iracheni che lasciano l”Iraq rispetto a quelli che rientrano. Del resto le promesse del governo di garantire un aiuto per ricostruire la casa e far fronte alle prime necessità vanno spesso deluse. A peggiorare la situazione è il crollo del prezzo del petrolio: il 95 per cento delle risorse dell”Iraq derivano dal petrolio. Il budget per la sistemazione dei profughi ha stanziato per quest”anno 42,5 milioni di dollari, ma Abdul Khalid Zankana, presidente del Comitato parlamentare per gli sfollati e la migrazione ne aveva chiesti dieci volte tanto. E non è detto che la somma sarà garantita.Per di più, all”inizio dell”anno il premier al Maliki ha deciso di sgombrare tutti gli occupanti di edifici pubblici. Subito dopo l”occupazione, nel 2003, centinaia di senza casa avevano infatti occupato edifici abbandonati dal partito Baath, dall”esercito o dal governo. Spesso si tratta di edifici mezzi distrutti dai bombardamenti americani, dove i senzatetto si erano installati con le loro quattro cose coperte da teli di plastica. Ora il governo ha deciso di sloggiarli, ma loro non sanno dove andare, per di più con il freddo invernale. La cifra che il governo promette in prestito – da 850 a 4.300 dollari – non è sufficiente per trovare una sistemazione adeguata. Il rischio, sostiene Zankana è che questa decisione porti a «nuovi problemi sociali, come un aumento del crimine o un maggior numero di senza casa».Il taglio delle spese dovrebbe investire anche le razioni di cibo che vengono distribuite a tutta la popolazione dal 1995 quando entrò in vigore la risoluzione delle Nazioni unite, la cosiddetta Oil for food (l”Iraq poteva esportare petrolio ma solo per importare cibo e medicine). La distribuzione è continuata anche dopo la caduta di Saddam seppure con restrizioni dovute in parte alla sicurezza ma soprattutto alla cattiva gestione e alla corruzione. Lo scorso anno il governo ha speso 7,3 miliardi di dollari per le razioni, ma per quest”anno sono stati stanziati solo 5 miliardi di dollari. Il governo chiede di ridurre le razioni e di distribuirle solo ai più poveri. Una razionalizzazione sarebbe ragionevole se la corruzione non rischiasse di lasciare senza aiuto proprio i più bisognosi.Sono tutte misure che non vanno certo incontro ai bisogno degli iracheni meno abbienti, ma che al Maliki è deciso ad imporre con la forza. Inoltre, per rafforzare il proprio potere sul territorio ha creato dei consigli tribali che rispondono direttamente a lui scavalcando le amministrazioni locali. Questi gruppi tribali hanno creato problemi con i kurdi a Kirkuk, ma sono malvisti anche dai partiti sciiti alleati del premier. Altri gruppi, come il movimento di Muqtada al Sadr, accusano al Maliki di aver usato l”esercito per rafforzare il proprio potere e visto il recente passato dell”Iraq questo comportamento fa temere il peggio. Gli oppositori cominciano ad accusare al Maliki di usare uno «stile dittatoriale». E in Iraq non c”è certo bisogno di un”altra dittatura. Le elezioni quindi saranno un test importante soprattutto per il premier Nuri al Maliki. ‘
Maliki alla prova delle urne
Elezioni amministrative in 14 province
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30 Gennaio 2009 - 11.52
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