Autogolpe del premier al Maliki

arrestati 35 funzionari e ufficiali del ministero degli interni

Autogolpe del premier al Maliki
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19 Dicembre 2008 - 11.52


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Trentacinque funzionari e ufficiali del ministero degli interni iracheno sono stati arrestati negli ultimi tre giorni a Baghdad. Tra gli arrestati vi sarebbe anche il generale Ahmed Abu Raqeef. L”accusa contro gli arrestati, secondo il portavoce del ministero degli interni generale Abdul Karim Khalaf, è quella di far parte del partito al Awda (il ritorno), considerato la reincarnazione del vecchio partito Baath, l”ex-partito unico di Saddam Hussein sciolto dal proconsole americano Paul Bremer subito dopo il suo arrivo a Baghdad nel 2003. Una misura, insieme a quella che aveva disciolto l”esercito di Saddam, miope perché aveva privato lo stato e la sua amministrazione di tutti i quadri che fino ad allora l”avevano fatto funzionare. In un primo tempo, secondo il New York times, gli arrestati erano stati accusati anche di un complotto per rovesciare il governo ma poi l”accusa è stata ridimensionata a un tentativo di dare fuoco al ministero. L”operazione condotta da un nucleo di élite delle forze antiterrorismo alle dirette dipendenze del premier Nouri al Maliki, è avvenuta mentre il ministro degli interni, Jawad Kadem al-Bolani, si trovava all”estero, impegnato a promuovere il suo Partito costituzionale iracheno, laico. Dunque il ministro sarebbe estraneo a una operazione che assume un carattere strettamente politico, infatti, secondo testimoni che non hanno voluto rivelare il loro nome, gli arrestati sarebbero esponenti dell”ex partito Baath di basso rango e peraltro senza stretti legami tra di loro. Una legge dello scorso febbraio peraltro aveva permesso agli ex membri del partito unico di basso rango di poter reclamare un impiego governativo, una misura di cui avrebbero usufruito 38.000 ex militanti del partito Baath. Mentre per quelli in età da pensionamento era stato riconosciuto il diritto di ricevere una pensione. Ma al Maliki, che si sente evidentemente molto debole, soprattutto in vista delle elezioni amministrative del 31 gennaio prossimo, continua ad agitare lo spettro del complotto e del partito Baath. Forse anche perché in settembre un quotidiano iracheno, al Bayyna al Jadidah, aveva parlato di un possibile colpo di stato incruento organizzato da ex membri del partito Baath e sostenitori del dittatore Saddam Hussein contro l”attuale governo orchestrato con l”appoggio degli Stati uniti. Ed effettivamente è difficile in questo momento immaginare in Iraq una qualsiasi operazione politica o militare senza l”appoggio degli americani che controllano in paese. Che invece, in un quadro politico quasi completamente dominato dai partiti confessionali (con l”eccezione del Kurdistan dove prevale l”appartenenza tribale), esista uno spazio per un partito laico è certo e anche governato dagli ex sostenitori del rais. La fine di Saddam Hussein, proprio per il modo in cui è avvenuta, ha lasciato molti «orfani». Molti di loro sono andati ad ingrossare le fila dei gruppi armati, alcuni dei quali sono stati recuperati dal generale Usa Petraeus per combattere al Qaeda con la promessa di reintegrazione nell”esercito iracheno di cui avevano già fatto parte. Il premier al Maliki teme i militari dell”esercito di Saddam e aveva cercato di impedire il loro reintegro anche emettendo mandati di cattura contro coloro che avevano guidato la lotta contro l”occupazione. Poi ha cercato di sostituire il reintegro nell”esercito con un impiego governativo civile, ora evidentemente anche questo è diventato un pericolo. Il premier al Maliki non sembra abbastanza forte per far fronte alla complessa realtà del suo paese e si scontra su tre fronti: quello kurdo per la questione del petrolio, quello sunnita per la forza militare degli ex saddamisti, quello sciita per l”opposizione radicale di Muqtada al Sadr. Infatti tra gli arrestati degli ultimi tempi vi sono anche sciiti sadristi. E Nouri al Maliki non sembra più godere nemmeno dell”appoggio incondizionato degli Stati uniti. Le accuse di complotto forse mirano anche a recuperare l”appoggio degli occupanti, ma gli stessi occupanti potrebbero approfittare di queste accuse per mantenere il loro controllo su un paese che rischia la deflagrazione. Quel che è certo è che in questo gioco al massacro gli unici a perdere saranno gli iracheni.’

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