Delitti d”onore, suicidi, mutilazioni genitali, matrimoni forzati. Il mix tra sharia e cultura aggrava le discriminazioni. A Erbil, una settimana di campagna mobilita soprattutto le Ong, che promuovono pratiche non violente. Intanto il parlamento kurdo si lacera sui diritti al femminileUna grande mano blu con la scritta «stop» campeggia sui muri di Erbil. Un volantino con la stessa immagine viene distribuito ovunque. È il manifesto stampato dal Governo regionale del Kurdistan per una campagna per l”Eliminazione della violenza contro le donne, una settimana di iniziative in coincidenza con la giornata internazionale del 25 novembre. Una scelta probabilmente unica anche nei paesi dilaniati dalla violenza contro le donne. Il Kurdistan e l”Iraq non sono certo delle eccezioni. Purtroppo. Il governo offre l”immagine: manifesti, spillette e una grande kermesse finale, ma a realizzare le iniziative sul territorio sono soprattutto le organizzazioni non governative.Prima ancora di scoprirlo, per informazioni ci rivolgiamo all”Unione delle donne del Kurdistan, l”organizzazione femminile del Partito democratico, che insieme all”Unione patriottica si spartisce la maggior fetta di potere. L”Unione delle donne si è appena trasferita in una nuova sede: un edificio nuovo tutto di vetro, blu, dove ancora non hanno finito di installare suppellettili. Computer in tutti gli uffici, via vai di donne in abiti moderni con cartelline in mano, quasi tutte senza velo, al contrario delle donne che si incontrano per strada. Pensiamo che le donne del maggior partito al governo siano le più organizzate anche per la settimana contro la violenza, ma non è così, anzi ci rinviano al coordinamento delle Ong, dunque non governative. L”idea ci sorprende, forse è un fatto di democrazia. Del resto in Kurdistan, caso raro, esiste anche un ministero per la società civile guidato dal caldeo George Mansour.Nella sede dell”Iknn (Iraqi-Kurdistan ngo”s network), che si trova nell”enorme quartiere cristiano di Ainkawa, alla periferia di Erbil, effettivamente otteniamo le informazioni che cercavamo sulle iniziative per le donne, anche se a illustrarcele sono i responsabili, tutti e tre maschi. Tutte le ong dell”Iknn, un”ottantina, sono mobilitate contro la violenza, l”unico contributo del governo è il materiale di propaganda. La settimana a sostegno delle donne è stata preceduta in ottobre da una settimana per la non violenza, estesa a tutto l”Iraq, sempre organizzata da ong, anche con il sostegno dell”italiana Un ponte per.Può apparire paradossale che nell”Iraq devastato dalla violenza ci siano organizzazioni che diffondono pratiche non violente e tra i bambini venga distribuita la storia di Ghandi. Ma forse tanto paradossale non è: proprio la violenza che si respira nell”aria fa sognare un mondo non violento e sperare nella pace. Per ottenerla occorre agire da subito, incidere innanzitutto sulla cultura, a partire dai giovani. E l”iniziativa ha avuto successo non solo tra settori più sensibili (studenti, donne, volontari, et.) ma persino tra le forze dell”ordine.Il passo successivo dunque ha riguardato la violenza contro le donne. Iniziativa indetta mentre è in corso nel parlamento kurdo il dibattito sullo statuto personale, che ha registrato molte lacerazioni. Uno scontro serrato era stato provocato dalla proposta per la messa fuori legge della poligamia, respinta per 4 voti. «Nonostante questa sconfitta non sono pessimista, penso che tra due anni potremo tornare alla carica e forse riusciremo a vietare la poligamia, in fondo 4 voti si possono facilmente recuperare. Del resto se la mentalità non cambia non si può cambiare la legge. Per ora abbiamo ottenuto che la poligamia possa essere esclusa nel contratto di matrimonio», afferma Suzan Aref direttrice della Women Empowerment Organization (Weo). Un”associazione impegnata nell”empowerment delle donne in campo sociale, politico, economico. «Nella legge in discussione in parlamento è stata elevata l”età del matrimonio a 18 anni, riconosciuto il divorzio anche per la donna mentre sono ancora in discussione temi come la testimonianza e l”eredità (secondo la sharia, la legge coranica, la testimonianza vale la metà di quella del maschio e anche l”eredità è dimezzata rispetto agli eredi maschi, ndr)».Una settimana di mobilitazione non può certo bastare per eliminare la violenza e le discriminazioni, ma – chiediamo a Suzan – la campagna del governo può servire a sensibilizzare su una situazione così grave?«Questa campagna presenta degli aspetti positivi: dà la possibilità alle organizzazioni delle donne di fare pressione sul governo per ottenere l”approvazione di progetti che hanno come obiettivo la riduzione della violenza. La violenza non può essere eliminata solo dal governo, occorre un coinvolgimento delle associazioni e anche dei religiosi, è un problema di educazione. La violenza non sono solo i delitti d”onore, i suicidi. Il 95 per cento delle donne subisce violenza in famiglia, negli uffici. Inoltre la donna non gode di servizi sanitari e sociali, e nei partiti le decisioni sono sempre prese dai maschi. Dunque questa campagna è una opportunità per le donne, ma il governo dovrebbe iniziare da sé: su 44 ministri solo 3 sono donne, una delle quali, incaricata degli affari delle donne, non ha nemmeno un budget, quindi serve solo da ornamento. Anche questa è violenza. Per eliminarla occorrono misure: riconoscere la qualificazione delle donne, garantire la loro partecipazione, costruire case rifugio per quelle che sono minacciate…»La violenza contro le donne è un fatto culturale, religioso, patriarcale…«Molta della violenza deriva da un mix tra sharia e cultura, occorre quindi fare una distinzione tra legge, cultura e sharia. Per questo noi stiamo facendo dei training agli imam. All”inizio era difficile persino far accettare che ascoltassero delle donne, ma poi si è stabilito un dialogo. Abbiamo anche un workshop per le giovani perché qui c”è poca confidenza con il corpo, le madri non ne parlano alle figlie, a volte non hanno nemmeno risposte».Esiste un movimento delle donne?«No, non esiste un movimento reale perché ci sono associazioni che dipendono dai partiti, non hanno autonomia, e quando si tratta di fare un”azione contro il governo non ci stanno».E poi – conclude Suzan – da parte del governo c”è anche molta ipocrisia perché se i partiti islamisti stanno al governo (con due ministri, ndr) è chiaro che molte forzature a favore dei diritti delle donne non sono possibili.Chilura Hardi è la direttrice di Khatuzeen, Center for kurdish women”s issues, che prende il nome dalla «Giulietta kurda». Quando la incontriamo è in abito tradizionale kurdo, un vestito rosso, scollato, trasparente, tutto lustrini con sotto pantaloni larghi arricciati in fondo, uno scialle sulle spalle ma senza velo. È una settimana in cui anche gli abiti tradizionali hanno un significato. L”associazione punta soprattutto sull”educazione attraverso una radio realizzata con il sostegno del Ministero della società civile. Siccome il ministero dell”interno non vuole diffondere dati sulla violenza contro le donne – per evitare allarmismi e speculazioni soprattutto della stampa straniera, sostiene – l”associazione sta raccogliendo documentazione su tutte le donne che hanno subito violenze, attraverso le notizie pubblicate dai giornali. Che non coprono tutta la realtà. Comunque, racconta Chilura, subito dopo l”assassinio di Du”a (una ragazza di diciassette anni appartenente alla setta degli yazidi, lapidata ai primi di maggio del 2007 perché si era innamorata di un sunnita e forse anche convertita all”islam, ndr) vi era stata una impennata di delitti d”onore, anche 2-3 al giorno, ma poi la media è scesa. Due donne vengono uccise anche mentre noi siamo a Erbil. «La donna viene ancora usata come risarcimento per un contenzioso: ti ho fatto un danno in cambio ti do mia figlia! Uno dei problemi maggiori è quello di far rispettare le donne anche da parte delle forze di polizia. Se una donna sola viene importunata per strada e si rivolge alla polizia, questa la rimprovera e dice che se va in giro sola, magari senza velo e per di più con jeans stretti è chiaro che subirà molestie. Per questo noi facciamo training alle forze di polizia. Ma non basta, purtroppo ci sono gruppi di islamisti pagati dai sauditi che attraverso le moschee, soprattutto nei villaggi, aiutano i poveri ma in cambio costringono le donne a comportarsi in un certo modo, le pagano anche per portare il velo. Si tratta di un” attività clandestina, non ammessa dal governo, ma sono gli stessi partiti che sono nel governo a praticarla. Quindi è difficile contrastarli», conclude Chilura.È una realtà tremenda: delitti d”onore, infibulazione, matrimoni forzati e suicidi. Nell”ospedale che aveva fondato Emergency – nel 1998 a Erbil e che dal 2005 è gestito da una ong kurda, Emergency management center – oltre a curare feriti di guerra, dal 2003 è stato costruito anche un reparto per ustionati: uno pediatrico e l”altro femminile. I bambini si bruciano con l”acqua calda o con il cherosene, mentre le donne, la maggior parte, si danno fuoco, uno dei modi più atroci per mettere fine alla propria vita, il grado di ustione è spesso devastante, oltre l”80 per cento del corpo, e anche incurabile. Quando sono ricoverate non ammettono il tentativo di suicidio e con i medici parlano di incidenti. Nell”ospedale esiste anche un servizio legale e spesso quello che non ammettono con i medici lo dicono agli avvocati che assicurano loro una assistenza legale.Violenze devastanti che a volte superano persino le più pessimistiche previsioni, che il governo kurdo ha avuto almeno il coraggio di denunciare.’
Giulietta in Kurdistan
Erbil, storie di donne e di violenza
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11 Dicembre 2008 - 11.52
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