Azzardo americano, e i sunniti esultano | Giuliana Sgrena
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Azzardo americano, e i sunniti esultano

Anbar «restituita» agli iracheni

Azzardo americano, e i sunniti esultano
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4 Settembre 2008 - 11.52


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La riconsegna della provincia di Anbar alle forze irachene è senza dubbio una delle più sorprendenti. Una medaglia a più facce: una vittoria dei sunniti ma, nello stesso tempo, una carta da giocare per Bush e McCain nella campagna elettorale statunitense. Anbar è una provincia che, solo due anni fa, veniva data dagli americani per persa. Non era bastato radere al suolo Falluja (nel novembre 2004) e distruggere Ramadi per ottenere una diminuzione della violenza. Nella provincia di Anbar sono morti 1.305 dei 4.200 soldati americani uccisi in Iraq, il 40% dei quali colpiti da ordigni esplosivi artigianali. Anbar, a stragrande maggioranza sunnita, è stata la culla della resistenza irachena, alla quale si era aggiunta la presenza di al Qaeda. Ma è stato proprio lo scontro tra la resistenza e i jihadisti in gran parte stranieri, che volevano indurre i primi a uccidere iracheni, a cambiare la situazione. La guerriglia, che voleva liberare l”Iraq dall”occupazione, si è ribellata alla logica perversa dei qaedisti che prendevano di mira soprattutto i «collaborazionisti» che lavoravano – a qualunque titolo – con il governo, in nome del jihad (la «guerra santa»). E hanno cominciato ad accusare i sunniti iracheni di essere «apostati», perché si rifiutavano di uccidere altri iracheni, anche se poliziotti, ha riferito al New York times Saadi al Faraji, un combattente del Movimento islamico dei santi guerrieri. Così al Faraj e altri combattenti hanno cominciato ad attaccare al Qaeda e lo sceicco Abdul Sattar abu Risha, nel 2006, ha fondato i Consigli del risveglio che sono stati determinanti nell”allontanamento di al Qaeda, non completo e forse non definitivo, ma certamente significativo. Lo scontro aveva lasciato sul terreno numerose vittime tra le quali Raja Najaf, governatore di al Anbar, sequestrato e poi ucciso, e il suo vice, Talib al Dulaimi, assassinato. Sono invece falliti i 29 attentati contro il successore di Najaf, Mamoon Sami al Rashid. La riconsegna della provincia di Anbar da parte delle forze americane, che comunque lasceranno 25.000 uomini (rispetto ai 37.000 precedenti) con il compito – questa la motivazione ufficiale – di addestrare le truppe, rappresenta un punto di forza per i sunniti. Ma anche una spina nel fianco del governo sciita che non accetta la nuova legittimazione delle forze combattenti sunnite, che hanno fatto un accordo con gli Usa per mettere fuori gioco al Qaeda e «ripacificare» l”area di Baghdad e dintorni in cambio della promessa di essere reinseriti nell”esercito iracheno. Tra i militanti dei Consigli del risveglio si trovano molti ex soldati di Saddam e militanti del partito Baath, solo la conoscenza del terreno ha permesso loro un”operazione che le truppe straniere non avrebbero mai potuto portare avanti con successo. Ora il problema degli americani è quello di far accettare al premier Nuri al Maliki il compromesso con i sunniti. Il governo ha già stilato una lista di 630 sunniti combattenti ricercati per crimini che avrebbero commesso prima dell”accordo del 2006. L”arresto di questi capi guerriglia, i fautori della «pacificazione» farebbe precipitare nuovamente la situazione. Uno di questi ricercati, Abu Marouf, controlla 13.000 uomini nella zona di Falluja. Gli americani non possono permettersi che la situazione sfugga loro nuovamente di mano: le elezioni sono alle porte e soprattutto devono liberare forze da trasferire in Afghanistan dove la situazione peggiora di giorno in giorno. Non solo per gli americani. Potrebbe quindi non essere casuale l”arresto da parte degli americani alla fine di agosto, all”aeroporto di Baghdad, di Ali al Lami, direttore della commissione per la debaathizzazione. La partita si fa dura anche in parlamento dove dovrà andare in discussione la proposta di accordo strategico militare (Status of forces agreement, Sofa) con gli Stati uniti. Accordo di cui non si conoscono i termini, se non quelli del ritiro annunciato da Nuri al Maliki, e smentito dagli Usa, per il 2011. I timori che l”accordo venga firmato senza una ratifica parlamentare sono forti sia in Iraq che negli Stati uniti. Forti obiezioni sono state espresse da Mahmoud Mashhandani, lo speaker del parlamento, il quale ha ribadito che i deputati non approveranno nessun accordo con gli Stati uniti. Un simile accordo dovrebbe essere infatti approvato dai due terzi del parlamento. In parlamento la presenza sunnita – anche se adesso paradossalmente i sunniti potrebbero favorire la presenza Usa per la realizzazione del loro accordo – è inferiore alla propria consistenza (circa il 20 per cento della popolazione), perché i gruppi della resistenza si erano opposti alla partecipazione alle elezioni. Ma ora potrebbero approfittare delle elezioni provinciali, che dovrebbero tenersi entro fine anno dopo l”approvazione della legge elettorale, per affermare la propria presenza nelle istituzioni. La partita è tutta aperta in Iraq, la novità è che i sunniti non sono più fuori dal gioco e hanno anche carte importanti da giocare, come quella della sicurezza nella zona centrale del paese, Baghdad compresa, eccezion fatta per Sadr city, dove invece la forza predominante è quella del radicale sciita Muqtada al Sadr, che però si trova in Iran. ‘

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