Cristina, dice di chiamarsi così la donna che sta allattando la sua bambina, Sara, di appena sette mesi. Cristina è arrivata a Lampedusa con il marito e la figlia dal Ghana, su una imbarcazione di fortuna. Lei non parla, ma ce lo spiega un giovane ragazzo, sveglio e con molta comunicativa, anche lui ghanese, che insieme a Cristina e altri africani è sbarcato nei giorni scorsi a Lampedusa dopo una traversata avventurosa.Ci troviamo all”interno del Centro soccorso e prima accoglienza (Cspa) dove siamo entrati senza grandi iter burocratici. Questa è la prima sorpresa, anche se dovrebbe essere la normalità: il Cspa è aperto ai giornalisti. Si entra, si può parlare con i migranti e con i lavoratori, si possono riprendere immagini evitando i primi piani che renderebbero riconoscibili gli «ospiti» del centro. Visti i tempi che corrono – con le nuove leggi anti-immigrati – un minimo di discrezione ci sembra assolutamente dovuto a queste persone indifese e smarrite.Domande senza rispostaAppena toccano terra sui loro visi si vede la gioia per aver raggiunto l”obiettivo: l”altra sponda del Mediterraneo. Ma poi cominciano le difficoltà, enormi, per restarci e nei loro occhi si intuiscono tanti interrogativi che non riescono nemmeno a formulare. Che cosa ti aspetti dall”Italia, cosa desideri? chiediamo. La risposta è sempre la stessa: «un lavoro, un lavoro qualsiasi». Dietro quella risposta vi è tutta la dignità di chi vuole sopravvivere con i propri mezzi, un lavoro onesto per costruire un futuro con le proprie mani. Nessuno ti chiede nulla: né un aiuto, né un”informazione. È la difficoltà di articolare una domanda o la paura della risposta? Certo avranno molte curiosità: somali e eritrei (la maggior parte dei nuovi arrivati) finora, nel loro paese, avevano sentito parlare dell”Italia soprattutto per il passato coloniale o per i più recenti interventi militari. Forse l”Italia è invece un paese come un altro per coloro che arrivano dalla Nigeria (dove l”Eni peraltro estrae petrolio), Ghana e altre regioni dall”Africa subsahariana. Ormai sembrano essersi esauriti gli arrivi dal Maghreb, a parte gli algerini che approdano sulle più vicine coste sarde e i marocchini che vanno in Spagna. Eppure una volta arrivavano anche qui.Alcuni migranti a volte sono anche riusciti a fuggire dal Cspa, pochi per la verità, ed è forse stata la curiosità a spingerli a superare le inferriate più che la possibilità reale di una fuga su un”isola così piccola e deserta. In paese raccontano che quando i migranti sbarcano senza essere intercettati sono loro stessi a chiedere del centro di accoglienza. E raccontano anche di quei quattro maghrebini scappati e riacciuffati in un bar della centrale via Roma. All”arrivo dei carabinieri erano tranquillamente seduti a un tavolino sul marciapiede davanti al bar e si sono lamentati perché non avevano ancora preso il caffé, appena ordinato. Pare abbiano convinto i carabinieri ad aspettare che lo bevessero. Forse ne avranno approfittato anche i carabinieri. Chissà se la storia è vera. Ma anche se non lo fosse dà l”idea di come sono visti i migranti dai lampedusani e persino da alcuni rappresentanti delle forze dell”ordine.Certo non si può generalizzare ma non siamo più ai tempi del lager gestito dalla contestatissima Misericordia che si trovava vicino all”aeroporto e poteva rinchiudere meno di 200 profughi. Una realtà efficacemente descritta, nel suo reportage per l”Espresso, da Roberto Gatti, che si era finto migrante kurdo per poter entrare nel centro di accoglienza. Sicuramente il clamore suscitato da quella denuncia ha contribuito a far cambiare le cose.Dal 1 giugno 2007 il Cspa, che ora è ospitato in nuovi edifici in una zona isolata, è gestito dalla Lampedusa accoglienza, una società consortile formata da due cooperative, Sisifo e Bluecoop, della Lega delle cooperative. La società ha vinto la gara di appalto abbassando i costi del 30 per cento rispetto alla gestione della Misericordia ma ha migliorato di molto i servizi, anche secondo le testimonianze di chi aveva avuto modo di visitare il vecchio centro.Una scelta difficileLa scelta della Lega delle cooperative di impegnarsi su un terreno così spinoso per la sinistra come la gestione dei cpt non è passata facilmente neanche all”interno della Lega, ammette Cono Galipò, amministratore delegato della Lampedusa accoglienza, sostenitore di questa nuova «filosofia» nell”approccio al tema dell”immigrazione che, almeno finché non sarà trovata un”alternativa ai cpt, punta sull” «umanizzarne» la gestione. Una polemica giustificata anche dal precedente poco edificante del cpt (ora cie, centro identificazione e espulsione) di Gradisca, gestito per l”appunto in consorzio dalla cooperativa rossa Enghera. Galipò ci spiega anche un suo progetto di formazione dei giovani per evitare, come succede ora, che 3.000 minori arrivati nel nostro paese spariscano, ogni anno. Dove finiscano non si sa, nelle migliore delle ipotesi andranno ad alimentare il mercato nero del lavoro. Un progetto che la Lega delle cooperative potrebbe realizzare, se la legislazione lo permettesse.Prima ancora di arrivare al termine della vallata dove si trova il Cspa avevamo osservato il complesso di tre lunghi edifici a due piani – container coimbentati – dall”alto e l”impressione era stata quella di un alveare dove molte persone giravano a vuoto. Quello era uno dei giorni di maggior affollamento del centro dovuto ai numerosi arrivi favoriti dalla condizione del mare. Ma i carabinieri stavano già caricando su autobus i migranti candidati al trasferimento in altri centri. Il turn over organizzato dal Ministero degli interni è continuo: ogni notte nuovi sbarchi e di giorno i trasferimenti via aereo. Si tratta di una pratica consolidata tanto che gli abitanti dell”isola e i turisti non si accorgono di nulla, raramente si incontra qualche bus che trasporta i migranti, tutti con maglietta bianca, all”aeroporto.Al Cspa di Lampedusa i migranti dovrebbero rimanere solo 36 ore in transito ma i tempi si allungano a una media attuale di circa 7 giorni. Qui ci sono 850 posti letto ma nei giorni scorsi «siamo arrivati a 1.200-1.300 e un giorno persino a 1.650 ospiti», spiegano i dirigenti del Cspa. In questi casi viene usata anche l”infermeria e i corridoi dove si stendono i materassini in gommapiuma azzurri. Ma quando all”interno lo spazio è esaurito si dorme all”aperto, anzi i migranti preferiscono mettersi fuori, per molti di loro è un”abitudine e il clima ma soprattutto il cielo di Lampedusa non ha nulla da invidiare a quello africano.Eppure, anche nei momenti di maggiore affluenza non ci sono stati particolari problemi, i magazzini sono sempre stracolmi di merci e in grado di far fronte a qualsiasi emergenza. Tanto meno ci sono stati problemi per la popolazione, il turismo non ha subito nessun calo se non quello fisiologico dovuto però all”impoverimento degli italiani e non agli sbarchi. Gli unici preoccupati sembrano il sindaco e la sua vice che diffondono voci allarmistiche (la senatrice leghista Angela Maraventano lancia accuse contro Gheddafi e contro il leader libico ha anche fatto uno sciopero della fame durato ben 6 ore!) evidentemente per «monetizzare» la questione immigrazione oltre che per fornire alla politica governativa lo spauracchio dell”emergenza immigrati per giustificare le misure razziste. Ma senza immigrati l”isola di Lampedusa sarebbe presto dimenticata.Spesso si sentono volteggiare elicotteri dei carabinieri che pattugliano le coste. Quando avvistano dei natanti sono le motovedette della guardia costiera a scortarle in porto. Al momento dello sbarco sono già pronti i bus inviati dal Cspa per il trasporto al centro. Al porto non si fermano più, se qualcuno sta male intervengono i Medici senza frontiere che qui hanno una loro équipe. All”arrivo al Cspa il primo controllo riguarda la presenza di malattie infettive: la più diffusa è la scabbia. Chi è infettato viene subito isolato. Per gli altri si procede alla identificazione con foto, numero, impronte digitali e nazionalità. I nomi sono quelli dichiarati dai migranti, una verifica è impossibile. Viene anche distribuito un kit: tuta, magliette, scarpe, materiale igienico, lenzuola usa e getta, asciugamani, una scheda telefonica da 5 euro. Le famiglie vengono ospitate in un compound a parte, in un altro le donne, poi i minori e separati da una cancellata i maschi maggiorenni, che sono tutti comunque prevalentemente giovani. Le donne e i minori varcano il cancello dei maschi per andare in mensa dove oltre al cibo e l”acqua minerale (4 litri al giorno) vengono distribuite anche 5 sigarette a pasto.Per le donne, numerose così come i bambini per i quali è stato allestito un piccolo parco giochi, è previsto un test di gravidanza: spesso sono incinta e in questo caso occorre segnalarlo al centro dove saranno inviate per prevedere un trattamento particolare, molte di loro provengono dalla Somalia dove è diffusissima l”infibulazione che comporta spesso gravi problemi durante il parto, e non solo. Nel Cpsa di Lampedusa, dove ora lavorano due medici, disponibili 24 ore su 24, sono in arrivo altri quattro specialisti: due ginecologi, un dermatologo e un infettologo.In fuga dalla guerraAll”interno del recinto che ospita il Cspa vi sono anche rappresentanze della Croce rossa, dell”Organizzazione internazionale migrazioni e dell”Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati. Tra i profughi che arrivano da zone devastate dalla guerra e dalla violenza è evidente che molti avanzeranno la richiesta di diritto di asilo. E come si può negare tale diritto a chi è partito da Mogadiscio, ancora devastata dai combattimenti , ha attraversato il deserto su un camioncino e poi dalla Libia si è imbarcato su un mezzo poco sicuro ma ha avuto la fortuna di non finire sul fondo del mare e di sbarcare a Lampedusa? Dopo quasi vent”anni di guerra in Somalia, dove rischi la vita solo uscendo di casa, cosa può esserci di peggio? E come non considerare la responsabilità degli eserciti occidentali e prima ancora della corruzione di governi che hanno contribuito a creare quella situazione? L”esempio della Somalia si può estendere a molte altre situazioni.Basterebbe che i nostri governanti avessero il coraggio di guardare queste persone negli occhi per convincersi a cambiare politica. Ma questo coraggio non ce l”hanno. E invece le persone, i civili, che lavorano a contatto con loro – sono un”ottantina, la maggioranza di Lampedusa – questa sensibilità o umanità ce l”hanno, si vede dal rapporto che si instaura con loro, con i giovani, con le donne, con i bambini. Anche se sono costretti a lavorare a tutte le ore, di giorno e di notte. Ma anche tra le forze dell”ordine c”è chi ha sfidato e continua a sfidare il mare per portare in salvo questi sfortunati. Anche per loro lavorare in queste condizioni, con lo stesso stipendio di chi sta in un ufficio o a cercare prostitute dove non ci sono, può persino diventare un punto di onore.Se si guardano negli occhi queste persone che non ti chiedono nemmeno di avere il bene più prezioso per un essere umano che è la libertà, ma si accontentano di stare dietro i cancelli di un Cspa, ci vuole più coraggio a maltrattarle che a rispettarle.2-fine ‘
Lampedusa, un mondo a parte
Visita al Cspa, Centro di soccorso e prima accoglienza
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19 Agosto 2008 - 11.52
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