Se il velo si converte alla moda

Algeri, torna il velo ma diverso è il modo di portarlo

Se il velo si converte alla moda
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1 Dicembre 2006 - 11.52


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Persino i manichini hanno la faccia triste nei grandi magazzini Sogeda, una catena di negozi di proprietà di un uomo d”affari giordano recentemente installata anche ad Algeri e specializzata nella vendita di hidjab. Veli e abiti lunghi dozzinali diversi da quelli dei negozi specializzati in foulard di tutti i colori e gusti, esposti con molta fantasia sulla Didouche Mourad, la via che attraversa il centro di Algeri. Qui si trovano anche i più costosi foulard – il cui prezzo arriva a 50 e più euro – che favoriscono la traspirazione e rendono la copertura del capo più sopportabile, soprattutto in estate. Quella del foulard e vestiti abbinati (tunica e pantaloni in stile orientale) è la nuova moda che si è imposta nella capitale algerina e che ha cambiato i costumi. Fino a qualche anno fa le algerine o vestivano all”occidentale oppure portavano l”hidjab nella versione più ortodossa che copriva tutto il corpo, secondo le imposizioni della reislamizzazione voluta dal Fronte islamico della salvezza. Ora il panorama è molto più variegato: il classico hidjab di colore neutro e scuro abbinato al fazzoletto è portato da una minoranza di donne che camminano con gli occhi bassi e la faccia triste. Poche sono anche quelle che portano il tradizionale bavaglio bianco ricamato. Parecchie donne hanno adottato lo stile orientale, che compre comunque le forme del corpo, seguendo quella voglia di «orientalismo» che sembra alimentare in questo momento la ricerca di identità. E poi c”è, soprattutto tra le giovani, chi porta molto disinvoltamente e in modo persino civettuolo un foulard dai colori vivaci, con ricami e fronzoli oltre a spille luccicanti per tenerlo fisso in testa. Spesso questo genere di foulard è in tinta o comunque coordinato con l”abito, una gonna lunga, a volte persino trasparente, oppure jeans attillatissimi. Queste ragazze non hanno l”aria dimessa o afflitta, il velo non sembra rappresentare un impedimento ai movimenti del loro colpo, o tanto meno oscurare il viso i cui lineamenti sono sottolineati da un pesante trucco. Anzi. Il velo non impedisce loro di andare in discoteca oppure sulla spiaggia dove, tolto il foulard, prendono il sole persino in bikini. Per loro il foulard più che l”osservanza di un precetto religioso sembra un mezzo per ottenere quelle libertà altimenti difficilmente realizzabili.«Prima mio padre non mi lasciava mai uscire la sera, ho messo il velo e ora non mi chiede più nemmeno a che ora rientro», sostiene Malika, 22 anni, che ha deciso di velarsi solo quattro mesi fa. Contro questo uso disinvolto e «opportunista» del velo ha lanciato la sua «scomunica» un imam della periferia della capitale. Attraverso l”altoparlante della moschea ha lanciato una pesante accusa: «Sappiate, o credenti, che le vostre figlie che escono ogni sera coperte dal loro hidjab con il pretesto di recarsi in moschea in realtà si mettono sulla strada per adescare uomini e tornano solo quando la preghiera è alla fine». Pur considerando che l”imam abbia esagerato, questo dimostra che l”uso dell”hidjab non per forza è una dimostrazione di «virtù» religiosa. Ma naturalmente tutte le donne che indossano il velo alla domanda perché lo fanno, come prima risposta dicono che è un dovere religioso. E se si sono decise tardi è perché prima non erano preparate. Combattendo col diavoloC”è però anche chi è convinta che la religione c”entri e come. Samira, che incontriamo in casa di una zia, racconta che stava combattendo con il diavolo quando improvvisamente si è decisa a mettere il velo – un ciador di tipo iraniano – e ora finalmente si sente in pace con se stessa e con Allah. È una ragazza carina, 27 anni, porta orecchini in tinta con la camicetta viola, ma si trasforma completamente quando sentendo girare la chiave nella toppa della porta sparisce e ricompare bardata di tutto punto: copricapo grigio e vestito lungo nero. Non poteva mostrarsi così «scoperta» di fronte al cugino Hussein, barbuto con la djellaba tradizionale, che stava arrivando. È stato proprio lui a convincere la madre Cherifa, già oltre la quarantina, a mettersi il velo quando è rientrato dall”estero e si è installato nella casa dei genitori insieme alla moglie, una francese convertita all”islam. Proprio lei è la più inflessibile fustigatrice di tutta la famiglia abituata a praticare un islam molto più tollerante. Hussein, lureato in commercio, ha lavorato in Italia e in Francia, ora invece fa cambio nero nel retro di un negozio di cellulari. E quando i soldi mancano è il padre Ahmed che deve far fronte ai bisogni di tutti, «purché non vengano ad insegnarmi cos”è l”islam», sbuffa rassegnato. La francese Nadine, che dopo la conversione si fa chiamare Amira, e la cugina Samira sono inflessibili di fronte a tutti i pilastri dell”islam. Anche quando affrontiamo problemi quali la poligamia non hanno dubbi: «Se lo dice il Corano …» sono disposte anche a dividere il marito. «Purché non sia io, alla mia età, a dover mantenere tutte le mogli», commenta sarcastico Ahmed . La situazione è molto cambiata rispetto agli anni ”90 quando i gruppi islamisti imponevano il velo con le minacce. Allora c”erano donne che sfidavano i diktat fondamentalisti anche a costo della vita. Ora la convinzione è più strisciante, più subdola, meno aggressiva. «Spesso sono le donne che cercano di convincerti che per avere maggiore credibilità devi portare il velo, sostiene Feriel, e se non lo porti ti devi giustificare. Anche i ragazzi che ti sono amici quando devono scegliere una donna da sposare è meglio che abbia il velo così la famiglia non farà obiezioni sulla sua serietà». «Persino mia madre che non si era mai sognata di parlare di velo alle figlie, ora ha imposto il velo a mia sorella perché ha divorziato e in qualche modo si deve rifare una credibilità», aggiunge infuriata la madre di Feriel.Nel convincere le donne a mettere il velo si fa leva anche su una buona dose di superstizione. Dopo il terremoto del maggio del 2003, le donne venivano accusate di essere le responsabili: non portando il velo avevano procurato le ire di Allah. Proprio dopo il terremoto c”era quindi stata un”ondata di hidjab. Non riconducibili solo al terremoto ma anche a una reazione alla guerra in Iraq. Sia al nuovo look che alla decisione di mettere il velo hanno contribuito molto le televisioni satellitari del Golfo. In Algeria tutti hanno le antenne paraboliche fin dall”inizio degli anni novanta e mentre una volta le parabole erano dirette verso la Francia ora hanno cambiato direzione, anche perché le tv francesi ora sono a pagamento. Una spesa eccessiva per un reddito medio. Un bel risultato: dove non sono arrivati gli islamisti armati sono arrivati i predicatori televisivi! Le tv del Golfo riservano canali solo alla religione con predicatori che si presentano in giacca e cravatta e con l”aria molto suadente. Reti tv simili a quelle usate per il proselitismo delle sette americane. La più seguita è Iqra, che pubblicizza un islam moderno con un hidjab accomodante. Il suo animatore, il mufti egiziano Amr Khaled, è diventato il beniamino di molte ragazze che vedono in lui il modello di musulmano praticante moderno in abiti occidentali e senza barba. Un islamismo socialeÈ certamente una forma di persuasione diversa dal passato, gli intellettuali algerini che abbiamo contattato parlano di un islam sociale, diverso da quello politico degli anni passati. Anche se il risultato non cambia. «Io non posso dimenticare l”origine del velo, non quello tradizionale, di questo velo, che è arrivato in Algeria con gli islamisti», sostiene Nadjet. Anche una insegnante dell”università di Costantina, l”unica non velata, non si arrende. Nemmeno di fronte ai suoi studenti minacciosi che la chiamano in modo sprezzante «fejera» (la donna senza velo, ma che vuol dire anche nuda). E a Costantina non portare il velo può ancora rappresentare un rischio. Molte donne che ormai sembravano vaccinate contro l”integralismo religioso hanno ceduto proprio negli ultimi anni alla «tentazione» del velo. Che comunque resta un simbolo dell”oppressione della donna e che quando si mette non si può più togliere, dio non lo permetterebbe.Anche quella dell”ortodossia islamista tuttavia è un”arma a doppio taglio: con il velo una donna, sostengono ora i fautori più «moderni» dell”islam radicale, può anche lavorare. E così molte donne si sono rese indipendenti, perché i mariti, secondo l”islam ortodosso devono mantenere la moglie e quindi la donna non è tenuta a partecipare alle spese di famiglia e con il suo salario può comprarsi vestiti o anche la macchina. Oltrettutto la nuova ondata di islamizzazione non riguarda solo gli strati popolari ma anche settori della borghesia, più benestanti. Del resto le nuove tenute islamiche sono costose non sono come il vecchio hidjab «copri miseria» che serviva in molti casi proprio a nascondere la povertà. Per le vie di Algeri le due visioni della società, quella secolarizzata e quella islamista, sembrano convivere, si sfiorano senza toccarsi. L”islam non è più aggressivo e i laici non si sentono costretti ad opporsi dall”aggressione, o forse sono stanchi di resistere e lasciano terreno libero ai nuovi «evangelizzatori». L”impressione è che questa ondata di islamismo sociale abbia isolato i laici che cominciano a sentirsi una minoranza, a doversi difendere, a ritrovarsi in alcuni quartieri della capitale, dove le donne si possono incontrare tranquillamente sulle terrazze dei bar anche senza il foulard. Si tratta di nuovi quartieri ricchi dove i negozi espongono vestiti secondo la moda di Parigi e Londra, oppure tradizionali maghrebini ma di buona sartoria. Mentre negli altri quartieri sono i businessman di Giordania, Siria e Kuwait a sfruttare la nuova «hidjab mania». Il governo algerino a differenza di quello tunisino e maroccchino non interviene sul velo. E come potrebbe farlo dopo aver concesso l”amnistia ai militanti dei gruppi islamici armati, molti dei quali sono tornati a insegnare nelle scuole.’

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