A Sadr city i pazienti sciiti aspettano

Vigilia elettorale tra i fedelissimi di Muqtada che, obbedienti al comando del capo, scomparso nella clandestinità, non boicottano il voto e aspettano il «dopo» quando «qualcosa cambierà». E qualcuno voterà pure

A Sadr city i pazienti sciiti aspettano
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20 Gennaio 2005 - 11.52


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Durante gli scontri dello scorso settembre gli americani non hanno risparmiato nemmeno l”enorme dipinto che campeggia a Sadr city e che rappresenta la rivolta degli sciiti con sullo sfondo i due leader religiosi della famiglia al Sadr, da cui ha preso il nome l”enorme agglomerato sciita della capitale, dopo la caduta di Saddam. Nadhir Hassun, l”autore dell”affresco, appena uscito dal carcere di Abu Ghraib dopo due mesi di detenzione, il 7 ottobre, si è messo al lavoro e da ieri il «quarto stato» in versione irachena, ripristinato, è tornato a rappresentare la voglia di riscossa degli sciiti. Che si manifesta con tutti i mezzi, anche con le elezioni di domani. I muri solitamente e quasi esclusivamente coperti da ritratti di Muqtada al Sadr, l”erede più ribelle degli ayatollah vittime del regime di Saddam – il padre è stato assassinato insieme a due figli nel 1999 – ora è occupato dai manifesti e dagli striscioni elettorali. Compresi quelli del premier ad interim Iyad Allawi, anche se a uno dei suoi ritratti sono stati cavati gli occhi. Allawi si presenta come l”uomo forte che aspira a costruire un esercito forte – ora composto quasi eslcusivmente da sciiti e kurdi – e forse riuscirà a convincere qualcuno anche a Sadr city, dove l”essere sciita è comunque un lasciapassare. Sadr city, una città dentro la città, fa sempre storia a parte. Con alterne vicende: quartiere esplosivo ai tempi di Saddam, dopo la sua caduta era stata una delle zone più tranquille di Baghdad sotto il controllo dei mullah, per poi esplodere la propria rabbia contro gli occupanti americani che hanno assediato a più riprese quella che i non-sadristi chiamano al Thawra (la rivoluzione, nome originario del quartiere quando fu costruito negli anni `50). Ora che regna la calma, dopo la «tregua» instaurata a ottobre, gli americani mantengono il controllo sulla bidonville schierando i loro carri armati ai margini senza entrare nel centro, anche se non rinunciano alle loro provocazioni, come quella di compiere rastrellamenti nelle moschee durante la preghiera. Ed è nell”intervento alla moschea al Rasul, tre giorni fa, che è stato arrestato Rafid, uno dei fratelli di Nadhir, insieme ad altri 35 fedeli. Non si sa dove sia finito. Solo dopo dieci giorni dall”arresto si può andare a verificare se il suo nome si trova su un file di Abu Ghraib, dice Nadhir. Ora potrebbe ancora essere alla «green zone». Nessuno può controllare, qui non vige nessuna legge, nessun diritto. Sarà probabilmente accusato come Nadhir di far parte del Jaish al Mahdi, la milizia di Muqtada. Poco importa se non ci sono prove. Sono tutte azioni preventive, accentuate in vista delle elezioni.«Sono vere e proprie provocazioni, ordite dagli americani e dal governo per farci reagire. Noi siamo pronti, ma l”indicazione di Muqtada è di essere pazienti: se reagiamo, sostiene, diranno che abbiamo impedito le elezioni, non dobbiamo fornire pretesti, non vogliamo combattimenti prima del voto e dopo, forse, qualcosa cambierà», riferisce Khadum, un fedele di Muqtada, che ritroviamo nel suo negozietto dove vende esclusivamene cd religiosi e nel retro stampa foto digitali. L”erede di al Sadr non vuole interferire nel disegno del grande ayatollah Ali al Sistani che queste elezioni ha voluto fermamente e che si è opposto strenuamente al rinvio. A tal punto che è stata messa la sordina persino all”assassinio giovedì di Ali al Khazarj, uno dei collaboratori più stretti del leader radicale. Muqtada, che alterna discorsi virulenti ad atteggiamenti «pacifici» in questa fase sembra essersi inserito nella linea «quietista» del grande ayatollah. O forse vuole solo riacquistare la libertà di cui non può godere – vive praticamente in clandestinità – finché sulla sua testa pende il mandato di cattura degli americani per l”assassinio dell”ayatollah Abd al Majid al Khoi, avvenuta nell”aprile del 2004, pochi giorni dopo il suo arrivo al seguito degli americani.L”argomento elezioni qui è molto dibattuto e partecipato, mentre in altre zone della città prevale la posizione del boicottaggio o dell”astensione, per scelta o per costrizione. Fanno discutere le foto che appaiono sul giornale al Inbithak dell”incontro con Muqtada del leader di una delle tante liste in competizione, più di cento. «Tutte strumentalizzazioni, Muqtada non appoggia nessuna lista, non si è candidato perché per farlo voleva una scadenza per il ritiro degli americani, non l”ha ottenuto e non si è candidato. Muqtada vuole elezioni oneste, non gestite dagli americani», dice Nadhir. Ma Muqtada voterà? «No, ma lascia libertà ai suoi militanti di votare e di scegliere la lista che preferiscono». Anche perché, sostengono gli osservatori, in molte liste vi sono candidati di Muqtada, quindi resta solo l”imbarazzo della scelta. E a livello locale, ci dice Khadum, è molto apprezzata la lista 352, guidata dal direttore del giornale al Sharakat al Sadr, l”Alba di Sadr city, per l”onestà dei suoi candidati.Se Nadhir sostiene che deciderà all”ultimo momento, Kadhum è convinto di andare a votare, non foss” altro che per poter decidere tra più candidati, dopo che per decenni la scelta era ridotta a un uomo solo, Saddam. Per chi voterà? Non lo sa ancora, sceglierà dopo aver visto i nomi dei candidati rimasti finora in gran parte segreti, per motivi di sicurezza.La lista che va per la maggiore tra gli sciiti è la 169, l”Alleanza irachena unita, sponsorizzata dall”ayatollah al Sistani che per indurre la comunità sciita a votare ha anche emesso una fatwa, sentenza coranica. Ma se l”autorità di al Sistani è indiscutibile, non si può dire altrettanto per il capolista dell”Alleanza, il leader dello Sciiri (Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq), Abdel Aziz al Hakim, rivale di Muqtada, e molti dei suoi seguaci dicono che non lo voteranno. Ma in queste elezioni si vota la lista e non il candidato, quindi le opzioni sono limitate. Non tutti sono disposti a sciogliere le riserve, sebbene ormai restano poche ore per riflettere. Comunque «voteremo per chi promette di buttar fuori gli americani dall”Iraq», concordano. E pensate che qualcuno dei nuovi eletti lo farà o lo potrà fare? «Lo sostengono e poi vedremo».Gran parte dei sunniti invece sostiene che non si possono fare elezioni sotto occupazione e se loro resteranno esclusi dal voto come si potrà elaborare una costituzione senza la partecipazione di una minoranza così importante? Insinuiamo. «I sunniti saranno recuperati nel governo e anche nell”Assemblea, perché se non dovessero partecipare all”elaborazione della costituzione potrebbero respingerla utilizzando la clausola che avrebbe dovuto favorire i kurdi: nel referendum la costituzione può essere respinta con la maggioranza di due terzi in tre province», dice un sostenitore della lista ispirata da Sistani.Quanti voteranno a Sadr city? Difficile fare previsioni in un paese abituato al plebiscito e in una situazione in cui non si può certo parlare di libertà di scelta. «Forse voterà un 50%», azzarda Anuar che si aggiunge al gruppo. Lui resta scettico sulle elezioni e dice che alcuni andranno a votare solo per scrivere sulla scheda «elettricità», «acqua» o «benzina», i beni di prima necessità che continuano a mancare nel paese occupato da quasi due anni. Comunque tutti si dicono certi che a Sadr city non ci saranno autobombe neanche il giorno delle elezioni: «Tutti ci conosciamo, appena arriva un estraneo viene isolato, la situazione è sotto il nostro controllo». Americani permettendo.’

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