Stuprate per punizione

Nella notte del 13 luglio 2001, a Hassi Messaoud, trecento islamisti - aizzati dall''imam - avevano violentato, torturato, mutilato 39 donne. Ieri è iniziato il processo d''appello a Biskra. In primo grado i 32 imputati erano stati condannati a pene

Stuprate per punizione
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4 Gennaio 2005 - 11.52


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Hassi Messaoud è famosa nel mondo per i suoi giacimenti di petrolio, è il pozzo da cui l”Algeria pompa gran parte del suo oro nero. Ma Hassi Messaoud non è solo simbolo di ricchezza, negli ultimi anni è entrata nelle cronache dei giornali algerini – non della stampa internazionale – come «simbolo della vergogna» per l”aggressione senza precedenti a un gruppo di donne sole. Fatto su cui si è aperto ieri il processo di appello a Biskra. Nel centro petrolifero oltre alle residenze dei «petrolieri» o degli impiegati del settore – tra i quali molti tecnici stranieri -, sono sorte delle bidonville, baracche di legno e latta abitate da chi spera di poter raccogliere le briciole degli introiti dell”industria petrolifera. El Haicha, è il nome di uno dei quartieri fatiscenti ed emarginati che ha avuto l”«onore» delle cronache. Qui abitavano anche donne venute dal nord dell”Algeria in cerca di lavoro e l”avevano trovato come domestiche nelle società petrolifere e nelle case degli stranieri. Erano donne che spesso vivevano sole, con i loro bambini. Una condizione inaccettabile per gli islamisti, anche se a quei tempi il presidente Abdelaziz Bouteflika aveva già proclamato la «legge del perdono» (per gli islamisti che deponevano le armi) e parlava di riconciliazione. Nel sud dell”Algeria l”onda della nuova mouvance evidentemente non era ancora arrivata nel 2001 quando l”imam integralista, Amar Taleb, dalla moschea di el Haicha con sermoni incendiari aizzava gli islamisti contro le donne «dai facili costumi». Così nella notte tra il 13 e il 14 luglio del 2001 scattava l”azione punitiva: circa trecento uomini prendevano d”assalto le case abitate dalle donne, trentanove di loro venivano violentate, mutilate – i seni tagliati con coltelli -, sodomizzate, e alcune di loro sono state persino sepolte vive. I racconti delle atrocità subite dalle donne allora avevano scosso l”opinione pubblica algerina, suscitato indignazione nella società civile e nelle associazioni di donne, molto meno tra le autorità. Poi più nulla.Il silenzio, la smobilitazione e il passare del tempo ha fatto il resto. Ed era quello che qualcuno voleva. Nel giugno del 2002, quando si è tenuto il primo processo davanti al tribunale di Ouargla, le parti sembravano invertite: gli aggressori – definiti «buoni padri di famiglia» – apparivano le vittime e le vittime – sotto l”accusa di «prostitute» – erano di fatto sul banco degli imputati. L”impunità per chi aveva cercato di «purificare i costumi» appariva dunque naturale.«E” l”accettazione di tali argomenti che porta allo stato di non diritto», rispondono le associazioni di donne che si sono rimobilitate per il processo d”appello: «è il lassismo che è all”origine dell”impunità di tutte le aggressioni passate e future se lo stato non porrà un termine». Anche perché i fatti di Hassi Messaoud erano stati preceduti da violenze simili contro donne sole a Ouargla, Remchi, Bordji, Tebessa. Allora tutti i responsabili erano rimasti impuniti.Il processo di Ouargla si era concluso con lo scagionamento di dieci dei 32 imputati, e pene risibili per gli altri. L”atteggiamento delle autorità è sempre stata quella di minimizzare l”accaduto, di convincere le donne a rinunciare alla richiesta di indennizzo. Pressioni e minacce pubbliche contro le vittime da parte delle famiglie degli aggressori, alcune delle quali hanno offerto soldi in cambio del ritiro della denuncia. Ma anche a livello sociale non sono mancate le accuse alle donne di voler «distruggere le famiglie» dei loro violentatori «buoni padri di famiglia». Questo ostracismo ha indotto molte delle vittime a fuggire lontano e a isolarsi nel proprio dolore. La maggior parte di queste donne non ha nessuna fiducia nel corso della giustizia e non si è presentata al processo. Ma nessuna di loro ha ritirato la denuncia. Anche se persino alcuni avvocati hanno rinunciato a difenderle di fronte alle pressioni subite. E l”avvocato promesso dal ministero della solidarietà alla prima udienza non si è presentato. Così ieri a Biskra, davanti alla corte d”appello, delle 39 vittime erano rimaste solo Fatiha, Rahmouna e Nadia. Degli imputati solo quattro hanno risposto alla convocazione. Fatiha è la più decisa tra le vittime: «la giustizia è fatta dagli uomini per gli uomini», ma non si arrende. Ha affidato il suo bambino ai suoceri per potersi recare a Biskra: «Come potrei perdonare a chi mi ha sodomizzata con un manico di scopa e ha lacerato i miei seni? Come Nadia potrebbe accettare di perdonare chi l”ha torturata e poi stuprata? Come Rahmouna può dimenticare che dei ragazzi dell”età dei suoi figli le hanno tagliato la vagina e le cosce? Sono testimonianze che tutti devono ascoltare affinché non debba mai più seccedere a delle donne di vivere la stessa situazione», ha dichiarato Fatiha a Salima Tlemcani del quotidiano algerino El Watan.Anche Rahmouna è esasperata: «A volte mi vengono pensieri terribili … questi criminali hanno assassinato in me ogni senso della vita. Vago di città in città con i miei bambini come se fossi una senzacasa. Perché la giustizia non vuole riparare a questa ingiustizia? Dopo la prima sentenza non mi sento più una cittadina algerina».Ma ieri a Biskra le tre vittime di el Haicha non erano sole. Le Associazioni di donne si sono mobilitate, ieri erano presenti al processo e si sono adoperate per integrare altri avvocati nel collegio di difesa. Non solo associazioni di donne ma anche partiti, laici e democratici: «E” chiamata in causa la nostra coscienza collettiva perché si tratta di un linciaggio abietto e la domanda che ci si pone è: saremo in grado di comunicare questo orrore affinché non si riproduca mai più?».’

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