Baghdad muore nella morsa della guerra

L''Iraq precipita, sotto occupazione, con i ribelli che combattono e un terrorismo di cui non si capisce la matrice. Basta andare ad Haifa Street per avvertirlo. Ora l''uccisione di due ulema potrebbe far degenerare tutto. E gli organismi dei diritti

Baghdad muore nella morsa della guerra
Preroll AMP

Redazione Modifica articolo

22 Settembre 2004 - 11.52


ATF AMP

Prendere tutte le precauzioni. Questa è la parola d”ordine. Tra queste vi è anche quella di depositare in albergo i nostri pochi averi – qui si paga tutto in contanti e spesso in dollari, l”euro non viene più preso in considerazione dopo la caduta di Saddam. «A chi dobbiamo restituire il contenuto se dovesse succedere qualcosa?». La domanda del cassiere, quasi d”obbligo, ci sorprende. E” come se il rischio improvvisamente si materializzasse. Ed è questo che tiene barricati in casa o negli alberghi circondati da barriere di cemento molti stranieri, giornalisti compresi, ma anche molti iracheni. Come difendersi da un nemico visibile e uno invisibile? Quando una colonna di mezzi militari americani spunta improvvisamente in mezzo al traffico per scortare camion di vettovaglie, con i marine che ti fissano dall”alto roteando minacciosi la loro mitragliatrice, ci si rende conto che il minimo errore di manovra potrebbe essere fatale, e spesso lo è. Come quando suona improvvisamente una sirena, sono jeep di scorta – si riconoscono dai mitra che spuntano dai finestrini – di qualche personalità, non le più importanti che non escono mai dalla «zona verde» o persino dal palazzo che li ospita come l”ambasciatore americano John Negroponte. Il traffico infernale è un incubo, spesso provocato dai check point militari dove si esercitano le truppe americane. E non solo per le ore passate in fila sotto il sole cocente, ma perché gli «errori» nel centrare l”obiettivo (della colonna americana) o nel far saltare per aria un ordigno o un”autobomba, sempre più comandate a distanza, è una probabilità tutt”altro che remota. Per proteggersi i convogli americani al loro passaggio schermano persino i comandi degli antifurto. E poi il terrorismo, che fa del seminare terrore la sua arma letale.Due assassinii esplosiviTerrorismo e occupazione una morsa che tiene in ostaggio molti iracheni. «Gli americani hanno favorito il degenerare della situazione tanto da condannarci a non poter nemmeno chiedere il loro ritiro in questo momento», ci dice una conoscente che non ha mai nascosto la sua avversione per gli americani. Teme veramente la guerra civile. Che purtroppo non è nemmeno una previsione. Ad accrescere i timori hanno contribuito, lunedì scorso, gli ultimi assassinii di due ulema sunniti, fautori del dialogo con gli sciiti per mantenere «insieme un popolo in una nazione unita», dice lo sceicco Abd al Salam al Qubaisi del Consiglio degli ulema. Le moschee in cui predicavano sheikh Hazem Zeidi e Mohammed Jadwo sono proprio nel cuore dei quartieri sciiti di Baghdad, Sadr city e Baya. E persino se il motivo non fosse religioso – ma la coincidenza è difficilmente casuale -, questi assassinii sono destinati ad esacerbare la rivalità tra estremisti sunniti e sciiti, superata solo parzialmente dalla lotta comune contro l”occupazione e comunque destinata a riproporsi in futuro. Nell”immediato, l”effetto potrebbe essere drammatico anche per gli ostaggi. Il Consiglio degli ulema sunniti, di cui facevano parte i due esponenti assassinati, infatti, si è sempre adoperato per ottenere la liberazione degli ostaggi, anche se purtroppo non sempre con successo. Colpire chi rappresenta un elemento di mediazione, a partire da una posizione netta e decisa contro l”occupazione, in una situazione degenerata sembra seguire la stessa logica di chi colpisce le organizzazioni umanitarie.La situazione in Iraq è andata continuamente degenerando, ma il 7 settembre sembra un punto di non ritorno. Il rapimento delle due Simone che svolgevano un lavoro umanitario e dei due collaboratori iracheni ha segnato una svolta. Lo si avverte nello sdegno profondo degli iracheni che incontriamo: si sono sentite colpite direttamente le organizzazioni umanitarie, soprattutto quelle che con le ong italiane collaborano, ma anche le altre della società civile. Incomprensibile che siano state rapite delle donne in una società dove questo rappresenta di per sé la distruzione di una vita. Anche se nelle guerre e anche nel jihad, le donne sono spesso considerate un «bottino». «Comunque vada Mahnaz (l”irachena sequestrata, ndr), giovane, non sposata, non avrà più un futuro, non avrà più un posto in questa società, proprio come le donne rinchiuse nel carcere di Abu Ghraib», sottolinea con amarezza una donna di un”ong irachena.I tanti rapiti iracheniIl sequestro di iracheni non è certo una novità, ma di solito hanno come scopo l”estorsione. E ai «collaborazionisti» viene riservata una sorte peggiore, anche se per i due iracheni delle ong la definizione non calza assolutamente, sebbene il significato del termine si sia dilatato a dismisura abbracciando intere categorie. Sono centinaia gli interpreti degli americani – pagati 5 dollari al giorno! -, i professori universitari, i medici, i funzionari di ministeri, gli aspiranti poliziotti uccisi o rapiti. Per questo molti cervelli sono in fuga. L”università rischia la catastrofe: nell”anno accademico 2003-2004 sono almeno 75 i professori uccisi o rapiti, secondo la lista compilata dall”Unione dei professori universitari iracheni, altri mille sono fuggiti all”estero e 1.832 sono stati licenziati durante il processo di «debaathizzazione». E il corpo docente, formato da 13.250 professori, rischia un nuovo dissanguamento alla vigilia della ripresa dell”anno accademico. Le preoccupazioni in vista della riapertura delle scuole non riguarda solo l”università, si teme infatti che, anche quest”anno, per mancanza di sicurezza molti genitori non manderanno i figli, e soprattutto le figlie, a scuola.A salvare il corpo docente non basterà l”aumento degli stipendi degli insegnanti, una delle categorie più penalizzate ai tempi di Saddam, che dopo anni di magra ora possono finalmente affollare i negozi per sostituire qualche elettrodomestico ormai inutilizzabile. Sempre sperando nel superamento dei quotidiani black out elettrici, che esasperano la popolazione. Per altri invece la situazione si è invertita: «Io guadagnavo 300-350 dollari al mese, quando sono stato assunto poco più di due anni fa, ora ne prendo 200», ci racconta Bassam, che lavora al ministero del commercio. Ma il suo stipendio lievitava, dice, soprattutto grazie ai benefit. Tra i lavoratori veniva infatti ridistribuita una parte degli utili delle compagnie import-export di proprietà del ministero, che in soldoni voleva dire anche 2.000 dollari aggiunti alla busta paga a fine anno. Ora, invece, spiega, gli stipendi sono legati solo all”anzianità, a parte quelli dei dirigenti che arrivano a 1.000-1.500 dollari e di quelli che invece l”hanno perso, licenziati perché «baathisti». Ma il grosso problema resta naturalmente l”altissima disoccupazione e finché non si avvierà la ricostruzione non ci saranno nuovi posti di lavoro. La ricostruzione non è nemmeno un problema di soldi: il congresso americano aveva stanziato 18,4 miliardi di dollari, di cui sono state spese solo le briciole e ora si stanno dirottando (nei giorni scorsi 3,5 miliardi di dollari) sulle operazioni di sicurezza contro la guerriglia. Nonostante tutto in città c”è del fermento: strade intasate da camion che scaricano merci di consumo o materiale da costruzione, si tratta tuttavia di piccoli lavori di riparazione più che di ricostruzione.C”è anche chi per poter sopravvivere avrebbe bisogno di ricostruire il proprio negozio ma non ha i mezzi per farlo, come ci racconta Fawzia Allawi. Cinquant”anni ma ne dimostra di più, la sua sofferenza si legge sul viso, unica parte del corpo lasciata libera dall”enorme abaya che l”avvolge. L”abbiamo incontrata nella sede dell”Organizzazione per i diritti umani irachena, in Haifa street, la via centrale sconvolta quotidianamente dagli scontri tra americani e ribelli. La sua cartoleria si trova, o si trovava, sulla piazza vicino a una scuola, nel cuore del quartiere abitato dai tikriti (originari di Tikrit come Saddam), e dove sono presenti anche molti siriani e palestinesi, e altri arabi arrivati durante la guerra. Qui l”ostilità alla presenza Usa è sempre stata più che palpabile e anche la reazione delle truppe di occupazione. Quasi quotidianamente l”attacco a un convoglio Usa o una bomba fa divampare la battaglia che sconvolge per qualche ora tutto il quartiere, poi i combattenti improvvisamente si dileguano nei sotterranei, che conoscono bene, e si riorganizzano per il giorno dopo. Nel luglio scorso un intervento Usa aveva distrutto il suo negozio, ma Fawzia, unico sostegno della famiglia di 14 persone dopo la morte del marito, era riuscita a ricostruirlo e anche, dice orgogliosa, a ricomprare una fotocopiatrice. «Era quasi tutto pronto in vista della riapertura delle scuole, ma una decina di giorni fa, quel venerdì in cui è stato bruciato il carro armato americano – ricorda – quando sono intervenuti gli elicotteri bombardando hanno distrutto nuovamente la cartoleria». Ora è disperata, come potrà ricostruire il negozio che aveva ereditato dal padre, e sfamare cinque figli – uno dei quali, ferito dagli americani, non può camminare e altri due, che erano fuggiti ai tempi di Saddam, sono disoccupati – e i nipoti?Diritti violati, più di primaNon potrà fare nulla nemmeno l”Organizzazione per i diritti umani, nonostante le promesse dei ministri – ci dice il vicepresidente Mohammed al Mussawi – a queste persone non è mai arrivato nessun risarcimento. «Ai tempi di Saddam – l”Organizzazione è nata negli anni 60 – non si poteva nemmeno parlare, ora invece si può parlare, ma restano solo parole. Il problema più grande è la mancanza di rispetto della gente, non c”è stato nessun risarcimento per distruzioni, abusi, violazioni, e questo non facilita il nostro lavoro». Racconta che in marzo, al termine di 4 giornate di «solidarietà con il popolo che soffre sotto occupazione», i soldati americani erano venuti per arrestare i dirigenti dell”organizzazione. Poi tira fuori dal cassetto il manifesto dell”iniziativa fatto, dice «in collaborazione con Simona», dove si legge «dopo decenni di violazioni dei diritti umani sotto il vecchio regime, non vogliamo altre violazioni». Così, aggiunge l”avvocato, la maggior parte della popolazione si trova schiacciata tra occupazione, rapimenti, guerriglia e terrorismo. Nell”atrio un cartello scritto a mano recita: «La vita degli iracheni vale quanto quella degli americani». Sembra un auspicio. Ci allontaniamo in fretta, gli elicotteri americani volteggiano bassi sopra di noi.’

Top Right AMP
FloorAD AMP
Exit mobile version