Mattatoio Baghdad, dove i medici sono becchini | Giuliana Sgrena
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Mattatoio Baghdad, dove i medici sono becchini

All''ospedale pediatrico medici e infermieri seppelliscono montagne di cadaveri che ormai non trovano più posto da nessuna parte. E'' l''ennesima prova che la guerra non rispetta neanche i morti in una città dove dominano caos e violenza e dove basta

Mattatoio Baghdad, dove i medici sono becchini
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12 Aprile 2003 - 11.52


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La guerra non ha pietà nemmeno per i morti. Non c”è stata finora sepoltura per molte delle vittime di questa guerra. Molti cadaveri giacciono ancora per le strade dove sono stati colpiti a morte, sempre più gonfi, deformati, prima di imputridirsi. Soprattutto nel quartiere al Mansour, il più devastato dai bombardamenti e dai combattimenti. Accatastati in camion poi rinchiusi in una stanza in attesa di trovare il posto per una tomba, i cadaveri depositati presso l”ospedale pediatrico al-Iskan, l”ex-Saddam (saranno molti i luoghi da rinominare vista l”inflazione dei luoghi dedicati a Saddam), che si trova proprio a ridosso di al Mansour, alla fine hanno deciso di seppellirli nel giardino. L”odore era ormai insopportabile, erano morti da almeno tre giorni, in spregio ad ogni credenza musulmana che vuole la sepoltura immediata, ieri, pale alla mano, i dipendenti dell”ospedale hanno scavato le fosse. Comunque troppo piccole e troppo poche per accogliere tanti morti: bambini, donne, uomini finiti sotto i bombardamenti o nelle sparatorie. Rinchiusi in sacchi di plastica azzurri, sono stati tirati fuori, e deposti nelle fosse appena scavate, una preghiera, un versetto del corano per ognuno di loro, qualche centimetro di terra e poi via, sopra un altro. Un rito interminabile sotto un sole cocente, i cadaveri non finivano mai. Infermieri, con camice e mascherina per proteggersi dal fetore, trasformati in becchini. Mentre le autoambulanze continuavano a partire a sirene spiegate, per recuperare altri feriti, altre vittime. A al Mansour gli scontri non sono ancora terminati, e nemmeno in altre parti della città, come ad al-Kadhimiya. Andiamo a cercare Majid, un traduttore che non vediamo da qualche giorno, non si è fatto più fatto vivo all”hotel Palestine, come molti altri del resto. Per poter arrivare oltre il fiume tentiamo di attraversare diversi ponti, tutti chiusi, alla fine ci riusciamo. Majid è asserragliato in casa da giorni, esce ad aprirci diffidente con una pistola nella cintola, vicino a casa sua i combattimenti sono stati pesanti. Racconta di aver visto gli americani sparare dal minareto della moschea poco lontana, e, tre giorni fa, di aver visto centrare un”autoambulanza che stava trasportando all”ospedale una donna con le doglie, che ha avuto il corpo spezzato in due. Un medico dell”ospedale Yarmuk è poi andato dagli americani a chiedere di poter almeno seppellire i morti. «Purché faccia in fretta», era stata la risposta.Non c”è tempo per la pietà. A Baghdad è il tempo della vendetta, favorita dal vuoto politico. Un regime è crollato e l”ordine dell”occupante non è stato ancora instaurato. Gli americani troppo impegnati nel proteggere se stessi non si preoccupano certamente dei saccheggi e delle distruzioni. Le strade sono disseminate di fogli svolazzanti provenienti dai ministeri prima bombardati – gli intenditori dicono che si tratta di bombe all”uranio impoverito – e poi saccheggiati. Come si farà a ricostruire una parvenza di amministrazione? Gli americani per ora si preoccupano solo di occupare la città: dal sud, sulla strada proveniente da Kerbala, ieri mattina abbiamo visto arrivare una colonna interminabile di carri armati e mezzi militari di diverso genere. Ma non è facile occupare una città di circa 5 milioni di abitanti e con un diametro di circa cinquanta chilometri. Si vogliono regolare i conti con il passato regime, ma tutti i responsabili sono spartiti come d”incanto, e allora ci si accanisce contro quel che resta. I familiari degli scomparsi hanno preso d”assalto il palazzo che ospitava i servizi segreti, per cercare se vi fossero detenuti i loro parenti, inutilmente.Nell”anarchia più totale i saccheggi e le distruzioni colpiscono anche i luoghi più prestigiosi della capitale, come il museo archeologico, straordinaria testimonianza delle antiche civiltà della Mesopotamia. L”Iraq museum era stato chiuso proprio in vista della guerra e, secondo quanto ci era stato detto da uno dei responsabili, le opere, come quelle di altri musei, erano state messe in salvo, anche se probabilmente non per tutte è stato possibile. Speriamo sia vero e che i vandali abbiano trovato solo opere di minor valore. Queste distruzioni danno comunque il segno dell”imbarbarimento provocato dalla guerra. E c”è chi osa parlare di liberazione.In mattinata il ministero del commercio è stato dato alle fiamme, in quello del petrolio era ancora in corso il saccheggio, le strade sono percorse quasi esclusivamente da camion, pick up, vecchie macchine e carretti stracarichi di masserizie. Ieri abbiamo assistito al saccheggio del Shopping center di al Mansour. Probabilmente colpito da un colpo di cannone, perché aveva un”ala che stava crollando e un incendio in corso, la gente si fiondava nella nube di fumo per raccattare il raccattabile. E usciva di corsa con la refurtiva pigiata all”inverosimile dentro qualsiasi mezzo a disposizione. Sulla porta alcuni uomini con il fucile, poco rassicuranti. Ma dopo i ministeri, le ville della nomenklatura, i grandi magazzini, le sedi dell”Onu, gli ospedali, è cominciato l”assalto alle case, prima dei funzionari del regime, e poi a quelle più benestanti, e non solo. Tanto che gli abitanti di alcuni quartieri hanno iniziato a organizzarsi per difendersi. Sul Lungotigri ci siamo imbattuti in gruppi di uomini armati che minacciavano un taxista perché ritenuto un aspirante saccheggiatore. Ne siamo sfuggiti velocemente: in questo clima di tensione ed eccitazione può sempre partire un colpo, più o meno volutamente. Per poi rischiare di incappare in un gruppo di mujahidin – provenienti da diversi paesi arabi – allo sbando, appostati sulla piazza di al Mansour da dove si dirama la strada che porta verso la Giordania. Poco più in là un nuovo tafferuglio: urla, spari, rissa per accaparrarsi della benzina contenuta in un”autocisterna. Non ci sono nemmeno più code ai distributori, il carburante è finito. Lunghe code continuano invece la mattina davanti ai forni del pane, uno dei pochi alimenti ancora disponibili, e il cui prezzo non resterà calmierato a lungo.Tutti i negozi comunque restano ancora chiusi. La gente continua a rimanere in casa, anche ieri, giorno della preghiera. Persino le moschee erano meno frequentate del solito, in alcune per la presenza dei carri armati, come quella che si trova sulla piazza Firdaus, in altre perché la popolazione è ancora incerta sul da farsi. Il venerdì è particolarmente sentito a Saddam city, il quartiere più fatiscente e più esplosivo della capitale. E la tensione è in aumento anche per quando sta succedendo a Najaf – l”assassinio degli imam, tra cui uno dei figli del famoso ayatollah Khoi -, dove i fedeli del quartiere sciita si recano spesso in pellegrinaggio al santuario di Ali, loro capostipite. Ma a surriscaldare il clima hanno contribuito anche i rastrellamenti degli americani, e pensare che proprio qui avevamo sentito alcuni ragazzi inneggiare a Bush mentre saccheggiavano la sede della polizia con il kalashnikov in spalla. A Baghdad molti sono armati, chi non possiede ancora un”arma la può trovare in qualche deposito abbandonato oppure al mercato, con pochi soldi, un kalashnikov si recupera con cinque dollari. Le truppe americane non saranno contrastate finché non impediranno il caos e l”anarchia, ma appena cercheranno di intervenire per portare il loro ordine troveranno pane per i loro denti. Il primo kamikaze di Baghdad si è fatto saltare in aria davanti a un carro armato proprio qui, a Saddam city, giovedì sera. Gli sciiti che dovevano essere gli alleati delle truppe anglo-britanniche – sciita è anche lo screditato ex-banchiere Ahmed Chalabi, uno degli aspiranti alla successione di Saddam – rischiano di diventare la spina nel fianco di Bush. Anche se molto dipenderà dal ruolo che vorrà giocare l”Iran nella crisi irachena. Non solo quella di Saddam city, tutte le moschee rischiano di diventare un referente per l”organizzazione dell”opposizione alla presenza anglo-americana. Ieri, dalla moschea al-Nidha di al-Adhamiya, crivellata giovedì da proiettili perché secondo gli americani vi si sarebbe trovato nascosto Saddam Hussein, l”imam ha lanciato un appello alla resistenza contro l”occupazione americana. Nella moschea avrebbero trovato riparo gruppi di mujahidin e, forse non a caso, è uno dei quartieri dove le truppe americane sono state ingaggiate in pesanti scontri nei giorni scorsi. I bombardamenti sono finiti, per ora, ma il futuro di Baghdad è più incerto che mai. E la popolazione lo sa. ‘

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