«Il mullah Omar è ancora qui» | Giuliana Sgrena
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«Il mullah Omar è ancora qui»

I talebani, riciclati nella polizia - come gli attentatori di Karzai a Kabul - del governatore Gul Agha Shirzai, sono ancora a Kandahar e nelle province di Uruzgan e Zabul. Lo sa bene Espushmai, una ragazza minacciata con l''acido perché lavora. A Kh

«Il mullah Omar è ancora qui»
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15 Ottobre 2002 - 11.52


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Mullah Omar è ancora qui? «E” ancora qui e gli americani lo devono sapere». Agi Mohammed Qasam, ricco uomo d”affari, sulla sessantina, che come si intuisce dal nome (Agi) è già stato alla Mecca, non ha dubbi sulla sorte della guida spirituale dei taleban, che ha avuto l”occasione di vedere due volte. Ma tornerà? «Forse sì». Anche se ormai gli americani sono installati a Kandahar? «Perché no, sia mullah Omar che Osama bin Laden sono stati portati qui dagli americani per realizzare i loro obiettivi strategici – stabilire una base nel nostro paese -, se veramente bin Laden fosse contro gli Stati uniti avrebbe combattuto le truppe Usa in Arabia saudita invece di venire in Afghanistan e se gli americani veramente volessero prenderlo lo prenderebbero, con tutti i mezzi che hanno a disposizione». Qasam sta ricominciando a viaggiare dopo lo stallo imposto dai taleban che l”hanno costretto a vivere rinchiuso a Kandahar – e nel frattempo si è sposato per la terza volta e gli sono nati altri tre figli, un tutto ne ha sedici – , perché il loro governo non era riconosciuto a livello internazionale e quindi non era possibile ottenere visti. Come molti altri che hanno sofferto le imposizioni dei taleban senza abbandonare il paese, ora accetta la presenza americana come inevitabile. Perché? Si spiega con un esempio: «Se sei cieco e devi attraversare la strada devi accettare che qualcuno ti accompagni, anche se sarai costretto a pagare. Osama ha preso i nostri averi per farci attraversare la strada ma ci ha lasciato nel bel mezzo, speriamo che gli americani ci portino dall”altra parte, ma anche in questo caso sappiamo che pagheremo, lo fanno per i loro interessi non per i nostri». nella cittadina di Gazni è stata distrutta con una bomba una scuola perché aperta alle bambine e le minacce di lancio di acido contro le donne che lavorano si sono trasformate in realtà. Ed è a un paio di ore di strada dal capoluogo provinciale, salendo verso la provincia di Wardak, che si trova il villaggio di Disi, noto per la presenza di una «sacca» di al Qaeda. Solo i capi dell”organizzazione di Osama bin Laden sono fuggiti, per lo più a Dubai, abbandonando parenti e spesso anche alcune delle loro mogli. Una di queste, poco più che tredicenne, ma già madre di due bambini, è la figlia di Zamina, la donna che era stata giustiziata dai taleban allo stadio, con tre colpi alla nuca, perché aveva ucciso il marito. Rimaste sole, le due figlie erano state vendute dallo zio, una a un anziano di Gazni e l”altra a un militante di al Qaeda che ora l”ha abbandonata insieme ad un”altra delle sue mogli presso la sua famiglia. Nel villaggio nessun estraneo mette piede, neanche di giorno e nemmeno le forze dell”ordine. Ma le province dove si concentra la maggior parte dei residui dei taleban e di al Qaeda, sono quelle di Paktika Sono in molti a Kandahar a non vedere incompatibilità tra americani e taleban, del resto senza l”aiuto di Washington non sarebbero arrivati al potere. E nonostante tutti sostengano di essere contenti per la caduta del regime oscurantista, fanno un distinguo: non tutti i taleban erano cattivi, c”erano anche quelli buoni. E in questa ambiguità, dove la «comprensione» per i taleban si sposa con l”odio per i tagiki e la loro forte presenza nel governo di Kabul, si insinua lo spettro di mullah Omar. Ma non c”è dubbio: i taleban sono ancora qui. Perché dopo la sconfitta del regime guidato da mullah Omar se ne sono andati solo i capi, tutti gli altri non solo sono rimasti, ma sono ancora al loro posto.Lo sa bene Espushmai, la ragazza che è stata minacciata di essere uccisa con l”acido se continuava a lavorare, e il marito, Assadullah, a sua volta minacciato – perché lei continua a lavorare – e accusato di furto, picchiato – ci mostra la shelwa (vestito tradizionale) ancora imbrattata di sangue – , portato in prigione, insieme al cognato e alla suocera, che si era avventata sui poliziotti. Solo dopo qualche giorno sono stati liberati, grazie alle testimonianze dei vicini che hanno dimostrato la loro innocenza.Chi sono i responsabili di simili soprusi? Taleban, che prima facevano parte delle milizie di mullah Omar – Espushmai li conosce bene, uno è un suo parente – e ora sono entrati nella polizia del nuovo governatore di Kandahar, Gul Agha Shirzai, e fanno il bello e cattivo tempo, continuano a minacciare le donne che lavorano e le bambine che vanno a scuola. La sfida è sempre più aperta. D”altra parte, anche l”autore dell”attentato di poco più di un mese fa a Karzai era un ex taleban arruolato nella polizia. E molti altri sono rimasti ai loro posti nelle istituzioni e non hanno certamente cambiato mentalità: tra i taleban c”era del buono e del cattivo e distinguere tra l”uno e l”altro è difficile, dicono. Come sempre succede dopo una guerra civile non tutti i sostenitori del regime sconfitto possono essere epurati. Così anche nelle madrasa (scuole coraniche) sono rimasti ad insegnare molti mullah seguaci di Omar e assicurano ai loro studenti che la guida spirituale tornerà presto. I loro diktat, soprattutto nei confronti delle donne, vengono giustificati anche dai filo-americani con la tradizione che ha fatto di Kandahar la città più conservatrice dell”Afghanistan .E non si tratta solo della ex roccaforte dei taleban. Nella provincia di Uruzgan due ex comandanti taleban, che qui sono nati, mullah Naqib e mullah Bradar, molto vicini alla guida spirituale, stanno riorganizzando le truppe. In quella di Zabul si sono ritirati molti mullah in fuga da Kandahar – di giorno si nascondo sulle montagne e di notte scendono a valle – e ne hanno fatto una base operativa, grazie all”ospitalità delle moschee e delle madrasa e alla complicità della popolazione.E non si tratta nemmeno solo di taleban. Sarebbero ancora presenti in Afghanistan anche numerosi militanti di al Qaeda – afghani o «arabi» -, tra le impervie ed inaccessibili montagne della provincia di Uruzgan o in quella di Gazni. Proprio e di Paktiya. Sulle montagne di Gardez (capoluogo di Paktiya), a Shahi Kot, nel marzo scorso l”operazione antiterrorismo «Anaconda» aveva impegnato le forze della coalizione di Enduring freedom e le truppe del generale tagiko Fahim nella battaglia più dura della campagna afghana, con pesanti perdite anche per gli occidentali in uomini (almeno otto americani uccisi) e mezzi (quattro aerei abbattuti). Anche i taleban e al Qaeda avrebbero subito pesanti perdite – centinaia di uomini, secondo il comando Usa -, ma i corpi non sono mai stati trovati. E i superstiti sarebbero fuggiti a Khost e oltre il confine, nelle zone tribali pakistane, per riorganizzarsi anche grazie all”aiuto delle tribù pashtun e dei partiti religiosi pakistani pro-taleban, il cui ruolo esce rafforzato dal successo elettorale del 10 ottobre e questo contribuirà indubbiamente a un rafforzamento dei taleban. Agli ex studenti di teologia – che proprio a Khost avevano uno dei loro leader, l”ex ministro delle frontiere taleban Haqqani, al quale inutilmente gli americani hanno dato la caccia – e ai militanti di al Qaeda, che qui avevano i campi di addestramento, si sarebbero aggiunte anche le forze di Hezb-e Islami, il partito di uno dei leader mujahidin più fondamentalista, Gulbuddin Hekmatyar. Un”alleanza tra queste forze, propagandata con volantini nei campi profughi di Peshawar, sarebbe stata raggiunta nel Kunar, altra provincia afghana di frontiera. Ed è proprio in queste zone, si parla di Khost, che dovrebbero essere schierati i mille alpini italiani per impedire le infiltrazioni dal Pakistan. Un compito veramente arduo.’

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