Kabul, riparte l''Opium Express' | Giuliana Sgrena
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Kabul, riparte l''Opium Express'

Il traffico di eroina non si è fermato con le bombe americane e sta cercando nuove strade. Il «treno della droga» che porta l''eroina afghana da Dushanbé ai porti russi sul Caspio ha ricominciato a viaggiare, dopo la pausa imposta dai taleban i conta

Kabul, riparte l''Opium Express'
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2 Aprile 2002 - 11.52


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Il traffico di eroina non si è fermato con i bombardamenti americani e la campagna antiterrorismo, sta solo cercando nuove rotte per raggiungere l”occidente. O almeno, cerca vie alternative a quella che era la strada della seta e che ora è diventata della droga. Anche se ha recentemente ripreso servizio, dopo tre mesi di interruzione, il “treno della droga” che partendo dalla capitale tagika Dushanbé raggiunge il porto russo del mar Caspio Astrakhan, dopo aver attraversato Uzbekistan, Turkmenistan e Kazakhstan. Su questa linea i controlli antidroga si sono fatti più serrati, dopo la creazione, due anni fa in Tagikistan, di una Agenzia antidroga (promossa dell”Onu e con un forte contributo dell”Italia), che ha portato nel 2001 al sequestro di 4 tonnellate di eroina contro i 700 chili del 1999. Tuttavia i controlli difficilmente riusciranno ad interrompere il lucroso business, almeno fino a quando sarà facile trovare piccoli trafficanti – l”eroina viene portata addosso o anche inghiottita – disposti a rischiare il carcere e persino la vita per poche centinaia di dollari. In passato il Tagikistan rappresentava il maggior punto di transito dell”eroina afghana superando anche quello diretto in Iran e Pakistan, dove erano stati già rafforzati i controlli. Ora «il volume dell”oppio e dell”eroina esportati dall”Afghanistan attraverso le tre rotte (Centrasia, Iran e Pakistan) sono equiparabili», sostiene Roberto Arbitrio, da due anni coordinatore del programma dell”ufficio per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Odccp) in Tagikistan. Le rotte più importanti dirette al Centrasia passano proprio attraverso il Tagikistan, dove la droga viene portata al confine da bande di trafficanti superarmati che la passano ai loro corrispondenti oltre il confine caricandola su pelli gonfiate con le quali attraversano il fiumeAmu Darya, oppure lanciandola oltre un muro di separazione da dove viene rilanciato il malloppo per il pagamento. La principale rotta tagika si colloca nella fascia compresa tra Pyandah e Moskovsky, raggiunge Dushanbé e da lì Uzbekistan e Tukmenistan. Solo una parte minima, la più scadente, viene consumata localmente. La maggior parte della droga viene diramata in occidente attraverso due direttrici: una, Caucaso-Balcani e l”altra, Russia, est europeo e Europa. La seconda rotta tagika, quella del Pamir, che utilizza i muli per raggiungere il Kyrgystan, era quella usata anche da al Qaeda. Perché la droga è stata una delle maggiori fonti di finanziamento sia dei taleban che di al Qaeda, ma anche dell”Alleanza del nord.Se il Tagikistan è vicino ai centri di deposito e ai laboratori di eroina nel nord-est, l”Iran e il Pakistan confinano con le zone di maggior produzione dell”oppio, come la provincia di Helmand. Qui, il punto di maggiore raccolta dell”oppio, già controllato dai taleban, è a Zaranj, al confine tra Afghanistan e Iran. Il commercio di oppio ed eroina avveniva allora per strada sotto l”occhio vigile dei taleban e il controllo di una manciata di signori della droga pashtun – dotati di milizie, satellitari, lussuose macchine e donne – che vantavano anche il titolo di haji per aver effettuato il pellegrinaggio alla Mecca, uno dei precetti per i musulmani che abbiano i mezzi per farlo, e ai grandi trafficanti i soldi non mancano di certo. Zaranj si trova in una zona desertica, scarsamente popolata e controllata da tribù beluchi, attraversata da migranti e trafficanti che partono con eroina e tornano con armi. La siccità che ha prosciugato il fiume Helmand favorisce il passaggio direttamente nel letto del fiume con jeep o cammelli. E se proprio si mette male e, per i controlli, diventa rischioso avventurarsi anche con i cammelli, si addestrano gli animali a fare la traversata da soli con il loro carico di oppio, che a volte viene fatto inghiottire in sacchetti di plastica. Prima ancora di raggiungere l”occidente la droga ha un ampio mercato anche in Iran, oltre che in Pakistan, dove i consumatori di oppio ed eroina sono 2 milioni. Non si conoscono invece dati sul mercato interno afghano, «in dieci anni non c”è mai stato nessun rilevamento, anche se il consumo è di molto inferiore a quello dei paesi vicini» – assicura Mir Najibullah Shams, segretario generale dell”Alta commissione di stato per il controllo della droga. Ma non c”è dubbio che nonostante i divieti al consumo dei taleban, di cui sopravvivono i cartelli per le strade di Kabul, l”eroina è ampiamente diffusa anche qui in Afghanistan.Ora ad alimentare il traffico contribuisce il rilancio della coltivazione del papavero da oppio in Afghanistan dopo il crollo del 2000, non si sa quanto dovuto al divieto imposto dai taleban e quanto alla siccità che ha colpito duramente il paese. Se quella contro l”eroina – diretta in gran parte ai mercati occidentali – probabilmente sarà la prossima guerra che gli americani vorranno combattere, la situazione estremamente precaria e il crollo dei taleban hanno favorito la ripresa della coltivazione del papavero, una delle poche entrate sicure in questo paese, anche se il prezzo pagato ai produttori della sostanza lattiginosa – 50 dollari al chilo – è insignificante rispetto ai guadagni dei trafficanti. I taleban avevano deciso di proibire la coltivazione dell”oppio due anni fa, probabilmente a causa della forte pressione internazionale che dopo aver lautamente finanziato – attraverso le Nazioni unite – controversi progetti per la sostituzione della coltivazione del papavero si erano invece trovati di fronte ad un”aumento della produzione e minacciavano di interrompere l”erogazione di fondi. La produzione di oppio era passata da 2.000 tonnellate metriche nel 1995 a 4.600 nel 1999 ed è scesa a 3.300 nel 2000, secondo i dati forniti dall”Illicit crop monitoring programme (Icmp) dell”Undcp (United nations international drug control programme). Secondo le stime degli Stati uniti nel 2001 la produzione, nella zona sotto il controllo taleban, sarebbe addirittura crollata a 74 tonnellate contro le 3.656 dell”anno precedente e l”Afghanistan – nonostante la produzione nelle zone sotto controllo dell”Alleanza del nord – avrebbe perso il primato mondiale della produzione – il 70 per cento del totale – passato nuovamente alla Birmania. Ma non per molto, già quest”anno l”Afghanistan potrebbe riconquistare la prima posizione.Secondo la Cia ad indurre i taleban alla messa al bando dell”oppio non sarebbero state tanto le pressioni internazionali o problemi morali, quando una logica di mercato: il mantenimento di un prezzo alto imponeva uno stop della produzione. D”altra parte le riserve stoccate in Afghanistan (valutate da esperti occidentali in 3.000 tonnellate di oppio che non sarebbero state distrutte nemmeno dai bombardamenti americani) erano in grado di prevenire qualsiasi penuria del mercato, secondo l”agenzia americana, Drug enforcement administration (Dea). Anche Glenn Mittermann, responsabile dell”ufficio delle Nazioni unite per il controllo delle droghe e la prevenzione del crimine di Kabul, ci conferma l”esistenza di riserve, anche se non sa quantificarle, e per questo il governo ad interim afghano che il 17 gennaio ha emesso un decreto per la messa al bando della coltivazione del papavero, si è impegnato anche a dare la caccia ai trafficanti. Anche perché l”eliminazione della coltivazione del papavero è una delle condizioni poste dagli accordi della Conferenza di Bonn e dai paesi donatori a Tokyo. Tuttavia non sarà facile. Intanto sul mercato locale dell”oppio, che sta per l”appunto smerciando le riserve, il prezzo tra novembre e dicembre era quadruplicato rispetto agli anni precedenti. E il prezzo alto rappresenta un ottimo incentivo alla coltivazione, tanto più che il divieto di coltivazione del papavero emesso dal nuovo governo ad interim è arrivato troppo tardi: la partenza dei taleban è coincisa proprio con il periodo della semina dei papaveri e i contadini hanno reinvestito sulle redditizie colture. Secondo uno studio di previsione dell”Undcp, fatto, ci spiega Glenn Mittermann, in base a campioni rilevati in 208 villaggi di 42 distretti, nelle zone maggiormente interessate dalla coltivazione di papaveri, la produzione di oppio quest”anno – coltivato in un”area stimata tra 45.000 e 65.000 ettari – dovrebbe collocarsi tra le 1.900 e 2.700 tonnellate metriche, una media raggiunta a metà degli anni novanta. Una verifica si avrà nel periodo del raccolto, tra aprile e maggio nelle zone calde del sud, e tra giugno e agosto nel nord dell”Afghanistan.I ricavi dalla vendita dell”oppio rappresentano un incentivo non solo per i contadini (che incassano solo una minima parte degli introiti) ma soprattutto per i trafficanti che anticipano i soldi dei costi per la coltivazione del papavero con una forma di credito diffuso conosciuta come “salaam”. Quest”anno tuttavia «questo tipo di finanziamenti è stato più limitato rispetto agli anni passati, probabilmente perché i contadini devono ancora restituire crediti degli anni scorsi», sostiene il rapporto dell”Undcp, che aggiunge: «L”ambiente incerto in cui quest”anno si realizzerà il raccolto, probabilmente ha anche indotto molti trafficanti a evitare grossi anticipi». Quindi la lotta per l”eliminazione dell”oppio deve tenere conto anche di questi elementi, non bastano le leggi coercitive. Una delle proposte avanzate dagli Stati uniti prevede l”acquisto della produzione di oppio di quest”anno per liberare i contadini dai loro debiti. Un”altra ipotesi è quella di dare ai produttori cibo in cambio della distruzione dei raccolti. Per realizzare nuovi progetti, l”Undcp sta mandando a Kabul un esperto: «La situazione è estremamente complicata – afferma Glenn Mittermann – anche perché il governo non controlla tutto il paese». Mir Najibullah Shams, della commissione afghana per il controllo della droga, sostiene che «il governo vuole procedere alla distruzione delle piantagioni ma pacificamente, tenendo conto della povertà dei contadini, evitando la loro migrazione e anche che muoiano di fame». Come? «Per quest”anno il governo rimborserà ai coltivatori le spese che hanno sostenuto per la semina e la coltivazione, dall”anno prossimo il divieto sarà coercitivo», ma, aggiunge, «è importante spezzare il legame tra contadini e trafficanti». Con quali soldi il governo afghano, che non riesce a pagare nemmeno i funzionari, potrà rimborsare i contadini? «Ci aiuteranno la Gran Bretagna e gli Stati uniti, il congresso Usa ha già stanziato dei fondi a questo scopo». E comunque senza incentivi anche per i prossimi anni, perché i contadini dovrebbero rinunciare a una coltivazione molto più redditizia? «Non ci sono dubbi che il papavero rende di più, ma se oltre al divieto favoriremo altri colture con finanziamenti, costruzione di strade, di canali di irrigazione, tecnologie potremo tornare come ai tempi del re quando esistevano solo altre coltivazioni», sostiene Mir Najibullah Shams, che dirige la commissione antidroga da dieci anni, con una interruzione di un anno e mezzo durante l”ultimo periodo del regime dei taleban. E” stato lui, nel 1997, uno dei fautori dell”accordo triennale – sponsorizzato dall”allora direttore dell”Undcp, Pino Arlacchi – con il quale l”Afghanistan aveva ottenuto 16,4 milioni di dollari per l”eliminazione della coltivazione del papavero poi ostacolata dai taleban. Ed è a quei tempi che il suo ufficio – caso quasi unico a Kabul – era stato dotato di computer, fotocopiatrice, telefoni, forniti dal responsabile Undcp per l”Asia, Giovanni Quaglia. Ora Mir Najibullah Shamas ci mostra un”altra lunga lista di richieste, soprattutto supporti tecnici, per permettere alla sua commissione, che ha diverse sezioni in tutto il paese e circa 250 agenti, di lavorare. Gli organismi internazionali sono ottimisti sull”evoluzione della situazione perché almeno ora hanno trovato nel governo ad interim un vero partner, sostiene Glenn Mittermann: «Ora c”è un clima positivo e un interesse della nuova amministrazione ad avere una legittimazione, del resto la droga non è accettabile per l”islam, ma non sono tanto ingenuo da pensare che ci saranno risultati in tempi brevi».’

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