Le reclute taleban in cella a Kabul

Sono afghani o pakistani, parlano sotto la sorveglianza di un comandante dell''Alleanza. Sono i "fortunati" prigionieri di guerra: gli altri sono morti, o "trasferiti" al Nord '

Le reclute taleban in cella a Kabul
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30 Novembre 2001 - 11.52


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Attiq ul Rahman ha 23 anni, proprio quanti la guerra che dilania l”Afghanistan. Un taleban come tanti altri, ma lui è uno di quelli catturati dai mujaheddin. Ha l”aria sperduta, assente, gli occhi abbassati e semichiusi forse per la luce improvvisa, quando viene tirato fuori da un container nella Markesi talemi urdu (il centro di addestramento per le reclute dei tempi di Najibullah), dove è tenuto prigioniero da quando, quindici giorni fa, i mujaheddin dell”Alleanza del nord, appena entrati a Kabul, l”hanno catturato nella zona dell”aeroporto. Viene da Kandahar, era stato portato qui per difendere la capitale un mese e mezzo fa, ma dopo soli due giorni che era al fronte è cominciata la disfatta dei taleban. Nella ritirata precipitosa il suo comandante, che veniva dalla base di Khost, non l”ha avvisato, tutti sono fuggiti e lui insieme ad altri tre è rimasto intrappolato senza mezzi di trasporto e senza possibilità di fuga. I quattro hanno combattuto fino alla fine, riferisce il comandante Camran che l”ha in custodia, ma alla fine sono stati catturati e portati nella base. Due di loro, pakistani, feriti sono stati ricoverati presso l”ospedale di Emergency, il terzo è fuggito e per questo Attiq ul Rahman, secondo Camran, ora sarebbe rinchiuso nel container senza possibilità di muoversi.Il prigioniero conferma senza troppa convinzione, assediato com”è da diversi mujaheddin. Dice anche che gli altri due – poco più che ventenni -che erano con lui dicevano di essere afghani andati in Pakistan per frequentare la madrasa (scuola coranica), ma secondo lui erano proprio pakistani. E il comandante tira fuori i loro documenti insieme a delle tessere di Harkat-el-mujaheddin, una delle organizzazioni pakistane nella lista nera del terrorismo. Lui, che al momento della cattura aveva un kalashnikov e una ricetrasmittente, dice di essere solo uno dei tanti che i taleban hanno portato “forzatamente” a Kabul. Sostiene che nessuno di loro prevedeva una ritirata così precipitosa. Da quanto tempo stava con i taleban? “Da due anni e mezzo” e veniva pagato 100.000 afghani (poco meno di tre dollari) la settimana per un non meglio precisato lavoro che di volta in volta gli si richiedeva.Da quando è rinchiuso non sa più nulla di quanto sta succedendo in Afghanistan, non vorrebbe mai essere partito da Kandahar e il suo unico desiderio, confessa in modo disarmante, è quello di tornare a casa.Quando il prigioniero potrà lasciare il container?, chiediamo al comandante Camran. “Quando saranno dimessi i due pakistani dall”ospedale di Emergency faremo il rapporto e li consegneremo agli alti ufficiali”.In questa guerra una cosa è certa: non si vogliono e non si devono fare prigionieri. Lo sterminio avvenuto nel forte-prigione di Mazar-i-Sharif, dove nei giorni scorsi sono stati massacrati almeno seicento prigionieri e hanno perso la vita anche 50 mujaheddin oltre ad un agente della Cia, è solo l”ultimo atto dell”eliminazione fisica di prigionieri perseguita con ferocia soprattutto nei confronti degli stranieri. Per quanto riguarda i taleban afghani la situazione è diversa, soprattutto nei villaggi dove si poteva stare con i taleban per costrizione o per convenienza e ora si può passare con i mujaheddin avvalendosi dell”alibi della decisione della shura (consiglio) degli anziani, come è successo nei giorni scorsi nel villaggio di Maidanshar a una quarantina di chilometri da Kabul.La sorte dei prigionieri resta la piaga nella piaga di questa guerra, nonostante nei giorni scorsi il leader dell”Alleanza del nord e presidente in pectore Burhannudin Rabbani abbia preannunciato una sorta di amnistia per i taleban che consegnano le armi, mentre gli stranieri che hanno combattuto a fianco dei taleban – anche se il loro arruolamento iniziale era avvenuto già ai tempi dei mujaheddin – verrebbero affidati alle Nazioni unite. Sempre se ne rimarrà qualcuno vivo. Per ora alcune centinaia di arabi e pakistani sono rinchiusi negli scantinati della sede della polizia segreta nel centro di Kabul. Pochi di loro ammettono di essere venuti qui per partecipare alla jihad (la guerra santa), altri preferiscono spacciarsi per “businessman”, che effettivamente da queste parti non mancano: come in ogni situazione di guerra c”è chi si arricchisce e l”Afghanistan non fa eccezioni. Molti altri prigionieri, secondo quanto ci riferisce il comandante Camran, sarebbero stati trasferiti al nord, nella valle del Panshir, la roccaforte dell”Alleanza del nord. “In mezzo alle montagne è più facile controllarli”, sostiene. Ma questo non è certo rassicurante sulle intenzioni dei mujaheddin.E” invece rimasta completamente deserta la grande prigione di Kabul, quella di Policharki, dove anche il nostro autista è stato rinchiuso per due volte, per un mese, dai taleban; la prima perché non aveva la barba regolamentare, la seconda perché era stato trovato con delle cassette di musica. Alla prigione, che si trova alle porte della capitale in pieno deserto, si arriva attraverso una strada che si inabissa nel letto del fiume visto che l”unico ponte è stato distrutto dai bombardamenti americani. Costruzioni fatte di mattoni e fango si confondono con il deserto mentre ci avviciniamo al grande carcere da dove tutti i prigionieri sono stati liberati dalla popolazione locale appena i taleban sono fuggiti. Lo spettacolo che ci troviamo di fronte visitando il grande edificio circolare con accessi laterali è raccapricciante, in una grande cella che conteneva 250 detenuti c”è di tutto: resti di coperte, di medicine, di cibo – che veniva portato dai parenti perché il carcere forniva solo un pasto al giorno -, carta, plastica, sporcizia di ogni tipo. Non è difficile immaginare le condizioni di detenzione, per non parlare poi delle punizioni corporali che il nostro autista ci conferma.Se con i taleban c”era l”ordine del terrore, con i mujaheddin sta tornando la violenza diffusa, la maggior parte delle strade di maggiore collegamento sono insicure, ci sono zone dove imperversano i banditi. C”è da immaginare che anche il carcere di Policharki tornerà presto a riempirsi.’

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