Erano “tanti, sporchi, molto sporchi, con i capelli lunghi e incolti, sembravano usciti dalle caverne. Sono arrivati di notte, come al solito, e con un megafono hanno cominciato a chiamare gli abitanti nome per nome. E man mano che loro uscivano dalle case venivano decapitati a sciabolate o sgozzati. Chi non usciva veniva cercato in casa e sgozzato sul posto. Una bambina si è buttata dal balcone mentre sventravano la madre. Quando finalmente sono arrivate le forze dell”ordine, c”è stato uno scontro e poi i terroristi se ne sono andati. A piedi, come erano venuti, portandosi via i loro morti. Le forze dell”ordine li hanno lasciati partire, dicendo che era più importante proteggere la popolazione. E prima dov”erano? E ora che se ne andavano non c”era più pericolo per la popolazione…”.È il racconto agghiacciante di un uomo che ha assistito dalla sua casa al massacro di Benthala, dove nella notte tra il 22 e il 23 settembre sono state sgozzate, decapitate, sventrate, circa 250 persone, soprattutto donne e bambini. Lui è scappato dopo la strage, come la maggior parte degli abitanti, ha abbandonato la sua casa, il suo sguardo è vuoto, la sua voce senza emozioni, è un uomo finito.Gli ultimi massacri hanno gettato la gente nello sconforto. Impotenti di fronte a tanta violenza. Disperazione e paura, il panico ha provocato l”esodo da alcuni villaggi. Dopo alcuni giorni di isteria è rimasta la paura e l”ossessione. E se non è lo stato, se non sono le forze dell”ordine a difendere la popolazione, bisogna contare sui propri mezzi. E reagire. E così anche nei quartieri dilaniati dagli ultimi massacri, come El Rais (oltre 400 vittime il 28 agosto) la gente rimasta ricomincia lentamente a vivere.Comitati di quartiereSi è costituito un comitato di quartiere che sta cercando di fornire gli aiuti minimi alla popolazione, a partire da un censimento delle perdite e dei bisogni. Le zone di Benthala (Baraki) e El Rais sono ancora sotto “alta sorveglianza”, presidiate da imponenti forze dell”ordine e inaccessibili alla stampa, soprattutto straniera, anche perché nell”area, tra Sidi Moussa e Ouled-Allal (una trentina di chilometri da Algeri) sono ancora in corso le operazioni, portate avanti congiuntamente da forze di sicurezza e esercito, di sminamenti e bombardamenti per distruggere i rifugi dei gruppi armati. Circa 200 terroristi del Gia (Gruppi islamici armati), secondo alcune voci, sarebbero nascosti in gallerie sotterranee costruite negli anni ”40. Forse vengono veramente da sottoterra. Ma altri – ieri sera girava voce in città – hanno compiuto nuovi attacchi, uccidendo quindici persone a Bouzareah (alla periferia di Algeri) e undici donne, tutte insegnanti di una scuola, con un falso posto di blocco a Sidi Moussa.I giornalisti algerini che hanno potuto avvicinarsi ai luoghi degli orrori raccontano scene di desolazione e disperazione. Nella periferia ovest di Algeri, la zona martoriata dalla violenza dei gruppi armati, una ventina di chilometri prima di arrivare a Baraki, ci si imbatte in altri comuni che sono stati feudi dell”islamismo e teatro della violenza islamista.Numerosi posti di blocco presidiano lo svincolo che dà accesso a Bachedjarah, 130mila abitanti, il comune più grande della cintura di Algeri, anche uno dei più poveri. Città dormitorio, costituita di enormi palazzi trascurati quando non fatiscenti, dove magari manca l”acqua ma non manca mai l”antenna parabolica. Fino a qualche mese fa Bachedjarah era stretta nella morsa del terrore. Ora invece è tornata a vivere, ma sotto una presenza imponente e capillare delle forze dell”ordine. La strada pullula di gente, di tutte le età, e i famosi “ittisti” (giovani che stanno appoggiati al muro in attesa di occupazione) sono numerosi, la disoccupazione riguarda il 30% della popolazione attiva e siccome il 70% degli algerini sono sotto i trent”anni i conti tornano.Quasi tutte le donne sono velate anche se meno di qualche mese fa, quando avevamo assistito alle elezioni. I negozi sono numerosissimi ma soprattutto enorme è il mercato, il più grande della zona. Lo chiamano il mercato delle donne, perché sono soprattutto loro a fare ogni giorno il giro delle bancarelle per cercare di racimolare il massimo con i pochi dinari a disposizione. Si vive alla giornata e così anche la spesa si fa ogni giorno. Qui arrivano anche dai comuni vicini, perché sostengono che sia la qualità che i prezzi sono convenienti. E” un vero suq, con bancarelle strette una all”altra che quasi non si passa, affollatissimo. Verdure, carne, ma anche molte stoffe coloratissime e doratissime. E le donne appunto, a gruppetti, che discutono. Tutto è sempre più caro, dice una donna che compra una testa di montone, ma la carne non se la può permettere spesso: con la sola pensione del marito deve mantenere nove figli, tre piccoli, gli altri grandi ma disoccupati. Anche la frutta e la verdura costano (800 lire le patate e 1300 lire i pomodori) ma le baguettes – il filone di pane francese – nonostante siano passate da un dinaro, quattro anni fa, a otto (240 lire), vanno a ruba. Al pane e al latte non si può rinunciare. Ma c”è anche chi, in questa situazione, pensa al trucco. “Non è per me, mi dice una donna anziana con il tradizionale bavaglio algerino che lascia vedere solo gli occhi con il kajal, ma per mia nuora”. E comunque, sostiene, “abbiamo bisogno di curare anche il nostro corpo per sentirci vive”.Se scoppiasse una bombaSe, come è successo altrove, scoppiasse una bomba in questo mercato sarebbe una carneficina senza precedenti. Forse per questo la popolazione accetta di buon grado la presenza capillare di forze dell”ordine. E questo dimostra che è possibile tenere anche zone come queste, ad alto rischio, sotto controllo.Poco lontano dal mercato una piccola strada ci porta verso “La Glacière”, un altro quartiere. Il passaggio è brusco, sembra di entrare nell”inferno: dalle strade asfaltate e affollate si passa ad una strada sterrata, quasi deserta, piena di buche, fango, deviazioni, montagne di immondizie, alti eucalipti che impediscono di vedere il cielo, i negozi sono semibarricati. Le rare donne supervelate. E pensare che questo quartiere, ora tristemente noto, si chiama Bel Air (bell”aria), era una zona piena di giardini, mi spiega un”amica ricordando i racconti del padre. Era allora il tempo della colonizzazione francese, ma è soprattutto durante la guerra di liberazione che qui si sono rifugiate molte famiglie fuggite dalla repressione in Kabylia. Una seconda ondata è arrivata dopo l”indipendenza, con l”industrializzazione voluta da Boumedienne. Così dei giardini non è rimasta nemmeno l”ombra e lo sviluppo selvaggio ha reso invivibile il quartiere.Chi ha fatto un po” di soldi se ne è andato, poco lontano – a Larbaa e Sidi Moussa – mentre sono arrivati nuovi poveri e emarginati. Da questo quartiere è partita anche la rivolta dell”ottobre 1988 – la rivolta detta del cuscus, ma che chiedeva soprattutto giustizia sociale. Gli islamisti, nel loro tentativo di cavalcare una ribellione che non avevano certamente gestito, si sono buttati sulle moschee de La Glacière. Da qui è partita l”offensiva di Abassi Madani e Ali Benhadj, i due leader del Fis, che avevano trasformato il quartiere in un feudo del Fronte islamico. E le stesse moschee sono poi diventate una base per i gruppi armati guidati dagli emiri (capi) originari della zona. I continui massacri, ricatti, taglieggiamenti hanno provocato la reazione anche della povera gente de La Glacière.Prima, mi racconta una donna la cui famiglia vive ancora nel quartiere, molti erano fuggiti per il terrore, si sospettava di tutti, del vicino, del negoziante. Nelle ultime settimane però si è costituito un comitato di autodifesa, con armi di fortuna – asce artigianali, coltelli, bottiglie molotov – gli abitanti si sono anche autotassati per comprare sirene, proiettori e un generatore elettrico, per dare l”allarme in caso di pericolo. Si sono così rassicurati ed è tornata anche qualche famiglia che era scappata. E” in corso anche una riabilitazione del quartiere e ora le forze dell”ordine hanno ristabilito un dialogo con gli abitanti; ma per ora restano ai margini, con un blocco stradale controllano l”accesso. Ma la sicurezza di La Glacière è nelle mani dei suoi abitanti.’
La periferia degli orrori
Erano "tanti, sporchi, molto sporchi, con i capelli lunghi e incolti, sembravano usciti dalle caverne. Sono arrivati di notte, come al solito, e con un megafono hanno cominciato a chiamare gli abitanti nome per nome.
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30 Settembre 1997 - 11.52
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