La cultura della vita contro quella della morte. Questo è il motto del movimento delle donne algerine e la loro forza nell”affrontare gli orrori quotidiani: “Il sangue versato rafforza la presa di coscienza”, afferma convinta Zazi Sadou. I massacri dei gruppi islamici armati e un regime che ha fatto pagare alle donne il prezzo del compromesso realizzato con gli islamisti, non hanno indebolito la loro resistenza. Anzi. Il loro sguardo è rivolto al futuro, non si lasciano intimorire, non parlano tanto di stragi, come avveniva in passato quando le incontravamo, non si soffermano sugli aspetti macabri dei massacri. Anche se questi anni di violenza – sgozzamenti, rapimenti, stupri, mutilazioni – hanno segnato i loro visi smagriti e tirati. Nello sguardo no, non c”è paura e nemmeno disperazione, solo una grande dignità. La voglia di andare avanti, perché, come ci hanno spesso ripetuto, non hanno nulla da perdere. “Donne in piedi”, come il titolo del libro di Khalida Messaoudi, uno slogan tramandato fin dalla guerra di liberazione. E perché, come ama ripetere Zazi Sadou, “è meglio vivere in piedi che morire in ginocchio”.Ancora tutte insieme, a Roma, come lo erano l”8 marzo scorso ad Algeri, con i loro punti in comune e le loro diversità. “Le donne democratiche hanno dimostrato che quando c”è un pericolo sanno mettere da parte quello che le divide e trovano quello che le unisce, come nel 1989 quando gli islamisti hanno iniziato a usare la violenza fisica contro le donne. O nel 1991 per rivendicare il diritto di voto”, Khalida Messaoudi ricorda questa “lezione data dalle donne” e che anche i leader dei partiti democratici, sempre divisi tra di loro, dovrebbero imparare. Ora ad unire diverse associazioni di donne è la battaglia contro il codice della famiglia che mette le algerine sotto tutela. E pensare che sono donne che hanno combattuto per il loro paese: “Allora non abbiamo chiesto l”autorizzazione a nessuno, né al padre né al tutore, per impegnarci nella lotta di liberazione nazionale. Allora eravamo adulte e credibili”, sottolinea Akila Ouared, che a quei tempi era militante del Fronte di liberazione nazionale. E anche dopo aver lasciato il Fln, nel 1967, non ha mai cessato di difendere i diritti delle donne: “la militanza è un virus”, afferma con orgoglio.Contro il codice della famiglia le donne si sono battute fin dalla sua approvazione, nel 1984, ai tempi del presidente Chadli, poi negli ultimi anni la priorità era diventata la battaglia contro il terrorismo, la lotta per la vita. La rivendicazione dei propri diritti non è mai stata abbandonata ma da circa un anno è riemersa come priorità: “Non possiamo rimandarla a quando avremo sconfitto il terrorismo, perché finirebbe come dopo l”indipendenza, quando ci hanno ricacciate a casa”. “Se insistiamo tanto sul codice della famiglia è perché è l”unico luogo in cui il religioso si mescola con il politico. Il codice della famiglia è il pilastro della repressione e dell”oppressione del potere. Ed è anche l”ossatura sulla quale si organizza l”ideologia islamista. Rimettere in causa il codice della famiglia vuol dire rimettere in causa il legame tra politico e religioso e far saltare l”alleanza tra il potere e l”integralismo religioso”, sostiene Khalida Messaoudi.Sul piano giuridico: “Una delle disposizioni più importanti di questo codice è stabilire che, nella sfera privata, siamo delle incapaci. Possiamo fare contratti sul piano civile, essere condannate, ma non possiamo contrarre il matrimonio”, afferma la giurista Nadia Ait Zai. La maggioranza delle associazioni di donne sono per l”abrogazione di questo famigerato codice, ma dopo che nell”aprile dello scorso anno il capo del governo ha detto che non era più un tabù e che poteva essere rivisto, hanno deciso di accettare la sfida. Sono stati elaborati ventidue emendamenti agli articoli più discriminatori – poligamia, ripudio, alloggio che ora resta al marito in caso di divorzio, etc. – e sono stati presentati al presidente Zeroual, il quale tuttavia ha rimandato l”esame a dopo le elezioni del 5 giugno. Dopo questo ulteriore rinvio, le donne hanno deciso di sostenere la loro proposta con la raccolta di un milione di firme, iniziata l”8 marzo. “E” l”urgenza di far fronte a situazioni drammatiche in cui vivono molte donne che ci ha portato ad elaborare questi emendamenti”, sostiene Ait Zai, artefice del nuovo testo giuridico.E, secondo Akila Ouared, la raccolta di firme è molto più facile nei quartieri popolari, dove le donne vivono sulla propria pelle gli effetti del codice della famiglia che tra le intellettuali. Un segnale importante: questa campagna vuole essere anche una verifica sul terreno delle rivendicazioni del movimento delle donne.Una elaborazione politica autonoma e una capacità di rimettersi in discussione è la forza del movimento delle donne in Algeria che ne ha fatto un soggetto imprescindibile per un processo di democratizzazione del paese. Una forza che affonda le proprie radici lontano nel tempo. “Le donne hanno partecipato storicamente alla formazione di una coscienza sociale: una coscienza nazionale di indipendenza e libertà, nata ancora prima della colonizzazione”, ricorda Zazi Sadou. E tra i punti di riferimento storici delle donne algerine, e delle berbere soprattutto, vi è anche Kahina, la regina berbera che aveva arrestato l”avanzata degli arabi. “Oggi il ruolo delle donne è quello di difendere il diritto alla cittadinanza a pieno titolo ben sapendo che potremo ottenerlo soltanto se si affermerà il progetto di società democratico e repubblicano contro quello islamista”, conclude Zazi Sadou.’
Nel nome di Kahina
La cultura della vita contro quella della morte. Questo è il motto del movimento delle donne algerine e la loro forza nell''affrontare gli orrori quotidiani: "Il sangue versato rafforza la presa di coscienza", afferma convinta Zazi Sadou.'
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6 Aprile 1997 - 11.52
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