«È un premio per l’Africa, dato all’Etiopia e posso immaginare come gli altri leader africani lo apprezzeranno come uno stimolo per contribuire a un processo per la costruzione della pace nel nostro continente», è stata la risposta del premier etiope Abiy Ahmed Alì «onorato ed emozionato» al segretario del Comitato Nobel norvegese che gli annunciava la sua vittoria. Abiy Ahmed era uno dei favoriti tra i 301 candidati al premio Nobel per la pace insieme a Greta Thunberg. Il premier etiope però meglio corrispondeva al criterio indicato dal fondatore del premio, Alfred Nobel, secondo il quale il riconoscimento spettava a coloro che contribuiscono «al gemellaggio dei popoli e all’eliminazione o alla riduzione delle armi, nonché a formare o promuovere processi di pace». Evidentemente era prematuro per lo scopritore della nitroglicerina occuparsi dell’ambiente.
IL NOBEL per la pace torna in Africa dopo l’assegnazione lo scorso anno al ginecologo congolese Denis Mukwege, insieme alla yazida Nadia Murad, ma la motivazione allora era la lotta alla violenza sessuale sulle donne, diventata un’arma di guerra. Il Comitato norvegese ha assegnato il premio ad Abiy Ahmed «per i suoi sforzi nel perseguire la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per le sue iniziative decisive per risolvere il conflitto con l’Eritrea».
Lo scorso anno aveva infatti sorpreso l’annuncio dello storico accordo raggiunto da Abiy Ahmed con il presidente eritreo Isaias Afeworki, cui seguirono le dichiarazioni firmate a l’Asmara e a Jedda. L’accordo poneva fine alla situazione di stallo – né pace né guerra – tra i due paesi che, dopo aver combattuto una guerra per i confini tra il 1998 e il 2000, non avevano accettato i risultati dell’arbitrato delle Nazioni unite che aveva fatto seguito all’accordo di Algeri. L’arbitrato aveva stabilito che la contesa città di Badme apparteneva all’Eritrea, ma l’Etiopia non aveva accettato il responso.
Il primo gesto di pace del premier etiope, che ha aperto la strada all’accordo, è stato proprio quello di accettare il risultato dell’arbitrato (2002). La mano tesa da Abiy Ahmed è stata afferrata da Afeworki, ha sottolineato il Comitato norvegese augurandosi che l’accordo di pace possa portare a un cambiamento positivo per tutte le popolazioni di Etiopia ed Eritrea. E questo è anche il senso del premio che non si basa solo sui risultati ottenuti ma auspica ulteriori progressi. Un auspicio importante perché nuove grandi sfide attendono i due paesi e l’intero Corno d’Africa, visto che il premier etiope ha favorito anche la ripresa dei rapporti tra Eritrea e Gibuti, ha mediato la controversia tra Kenya e Somalia relativa alle acque territoriali ed è intervenuto anche nella crisi sudanese.
GRANDI ASPETTATIVE riguardano anche Isaias Afeworki che dopo aver portato l’Eritrea all’indipendenza ha tradito le aspettative di un popolo che aspirava alla democrazia e al progresso, imponendo un regime militare tra i più repressivi dell’Africa, come testimoniato dai giovani che fuggono dal paese e arrivano con i barconi in Italia. Se la guerra latente era il pretesto per mantenere tutti i giovani irreggimentati nel servizio militare, l’accordo dovrebbe allentare questo pugno di ferro. Qualche segnale si è avuto con la liberazione di prigionieri politici. Comunque la ripresa dei voli e la riapertura delle ambasciate favorirà l’uscita dall’isolamento.
Forse l’esempio premiato di Abiy Ahmed potrà servire anche a questo.
NATO NELL’ETIOPIA occidentale nel 1976 da padre musulmano oromo e madre cristiana amhara, ancora giovane si unì alla resistenza contro il regime di Mengistu. Nell’esercito raggiunse il grado di tenente colonnello. Tra i diplomi ottenuti vi è anche un dottorato in processi di pace e sicurezza. Dopo aver fatto parte delle forze di peacekeeper in Ruanda, durante la guerra tra Etiopia ed Eritrea ha comandato un team di spionaggio in una missione di ricognizione nelle aree controllate dalle Forze di difesa eritree. Forse questa conoscenza della situazione lo ha aiutato nel trovare l’accordo con l’Eritrea. Invece la sua origine musulmano-cristiana e la conoscenza delle tre lingue maggiormente parlate in Etiopia – oromo, aramaico e tigrino – lo hanno sicuramente favorito nel superare le divisioni religiose ed etniche.
Eletto deputato nelle fila dell’Organizzazione democratica del popolo oromo, nel marzo del 2018 viene eletto capo del governo. Abiy Ahmed è il primo oromo – l’etnia maggioritaria del paese – a diventare premier e la sua elezione segna la fine dell’egemonia del Fronte di liberazione del popolo tigrino, che tuttavia mantiene una influenza nell’apparato militare.
ABIY AHMED si distingue subito per le riforme democratiche: pone fine allo stato d’assedio, libera prigionieri politici e giornalisti, sancisce la libertà di stampa, riconosce i partiti dell’opposizione e avvia riforme economiche. Nel suo governo ha dato spazio alle donne – la metà dei ministri – e ha istituito il Ministero per la pace. Tuttavia il percorso avviato dal premier è irto di ostacoli, compreso un tentativo di assassinarlo al quale è sfuggito.
Forse il premio Nobel lo aiuterà a superare gli ostacoli. Non è il primo politico a riceverlo, ce ne sono stati numerosi, anche presidenti Usa come Carter e Obama, spesso dati più alle intenzioni che ai risultati già raggiunti. Forse, con il senno di poi, il premio della pace più violato è stato quello dato ad Arafat, Peres e Rabin e non per colpa del leader palestinese.
il manifesto 12 ottobre 2019